LE QUATTRO DEMOCRAZIE

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La definizione di democrazia è mutevole nel tempo. Attraverso un processo autoriflessivo, «la democrazia è in un processo permanente di definizione e ridefinizione» (Eder 2009). Giovanissima come istituzione (pochi decenni nella maggior parte degli stati, se consideriamo il suffragio universale come condizione fondamentale), la democrazia ha invece una lunga storia come tema di riflessione. Se nell’evoluzione storica del discorso sulla democrazia reale la responsabilizzazione elettorale è stata privilegiata, oggi le sfide alla democrazia procedurale riportano l’attenzione ad altre qualità  democratiche. Le democrazie sono anche varie. Diverse qualità  democratiche sono state intrecciate nella costruzione di svariate tipologie. Lo stesso Tilly ha classificato i regimi politici sulla base di alcune loro capacità : «Quanto ampio è il raggio delle richieste espresse dai cittadini che vengono prese in considerazione, quanto egualmente i diversi gruppi di cittadini sperimentano una traduzione delle loro domande in comportamenti dello stato? In quale misura l’espressione stessa delle richieste è protetta dallo stato, e in che misura il processo di traduzione delle domande impegna entrambe le parti, stati e cittadini». 
Prendendo atto delle diversità  nelle concezioni e pratiche di democrazia, il mio obiettivo in questo volume non è la ricostruzione delle svariate idee di democrazia, ma piuttosto l’analisi del modo in cui queste si sono trasformate in richieste e proposte, che sono infatti penetrate a trasformare le democrazie reali, e quindi lo stato democratico. Da questo punto di vista, il contributo originale che voglio sviluppare in questo volume è nella combinazione della teoria normativa con l’analisi empirica di come alcune concezioni hanno ispirato concrete trasformazioni istituzionali.
Nel corso di questa analisi emergeranno alcune considerazioni generali, relative a status e contenuto della concezione liberale della democrazia. Innanzitutto, essa emergerà  come definizione storicamente contestata. Se essa si presenta oggi come dominante, tuttavia, vi si contrappongono altre, discusse variamente come democrazia partecipativa, democrazia forte, democrazia discorsiva, democrazia comunicativa, democrazia del welfare, democrazia associativa. 
In particolare, nella teoria politica, da Dewey a Habermas, si è spesso osservato che le concezioni maggioritarie, centrali per le definizioni liberali di democrazia, sono, in vario modo, bilanciate dalla presenza di spazi deliberativi, e la rappresentanza dalla presenza di spazi di partecipazione. Se le teorie rappresentative hanno sottolineato l’accountability elettorale, le teorie partecipative hanno affermato l’importanza di creare occasioni di partecipazione. E se vi è una visione “minimalista” di democrazia come potere della maggioranza, le teorie deliberative tendono invece a considerare la presenza di spazi di comunicazione, scambio di ragioni, costruzione di definizioni condivise del bene pubblico, come fondamentale per la legittimazione delle decisioni pubbliche. Partecipazione e deliberazione sono infatti qualità  democratiche in tensione con quelle della rappresentanza e della decisione a maggioranza, e con esse in precario equilibrio nelle diverse concezioni e specifiche pratiche istituzionali di democrazia. 
Nell’intenso dibattito nella teoria normativa possiamo individuare due principali dimensioni: da un lato, la considerazione della definizione di interessi e identità  come esogena (esterna) oppure endogena (interna) al processo democratico; dall’altro, il riconoscimento o meno della presenza di conflitti. Dall’incrocio di queste due dimensioni emergono quattro modelli ideali di democrazia, ai quali sarà  rivolta l’attenzione nei prossimi capitoli 
La democrazia liberale assume identità  che sono costruite all’esterno del processo democratico, che le incanala all’interno del sistema politico. Le istituzioni di quello che Dahl ha definito come democrazia poliarchica includono la presenza di rappresentanti eletti in lezioni libere, corrette e frequenti così come la libertà  di espressione e associazione, e la presenza di fonti alternative di informazione. Pur ammettendo la presenza di una certa diversità  di preferenze, si assume però che vi sia un ampio consenso fra interessi compatibili, mentre i conflitti tendono ad essere considerati come negativi, in quanto rischiano di sovraccaricare di domande contraddittorie il sistema politico. Gli attori che sono portatori di conflitti fondamentali sono, infatti, considerati come antisistema, e la presenza di attori antisistema come essenzialmente patologica. La concezione liberale non riflette, infatti, in modo esauriente il reale funzionamento dello stato democratico in nessuno dei diversi periodi della sua esistenza. Essa è parziale, in quanto guarda implicitamente agli stati come unica arena di democrazia. 
La ricerca amplia movimenti sociali e protesta, ma anche quella su altri attori della società  civile, focalizza invece l’attenzione alle tante arene in cui forme di democrazia si fondano su principi diversi. Collegato a questo, la ricerca sui lunghi processi di prima democratizzazione ha sottolineato l’importanza dei circuiti non elettorali per il funzionamento dello stato democratico. L’influenza che la protesta aveva nei regimi con elettorato ristretto non passava attraverso le elezioni, anche se i parlamenti diventavano bersaglio di rivendicazioni. Infatti, nella loro evoluzione concreta, i regimi democratici esistenti hanno mitigato i principi ideal-tipici della democrazia liberale, mescolandoli con altri, provenienti da altre concezioni di democrazia.
La concezione liberale della democrazia è stata sfidata, prima di tutto, da una concezione partecipativa. Riconoscendo l’esistenza di profondi conflitti nella società , i teorici della democrazia partecipativa hanno sottolineato l’importanza di coinvolgere i cittadini al di là  del momento elettorale. La partecipazione in diverse forme e in diversi momenti del processo democratico è infatti considerata come positiva sia per gli individui, che vengono socializzati a visioni del bene collettivo, che per le stesse istituzioni politiche, che godrebbero di maggiore fiducia e sostegno. L’approccio partecipativo tende comunque a considerare la formazione degli interessi e delle identità  collettive come esogena al sistema democratico. 
C’è anche un’altra alternativa alla concezione liberale di democrazia, che ha invece sottolineato come la formazione stessa di interessi e identità  collettive avvenga, almeno in parte, all’interno del processo democratico. In questa direzione, i teorici della democrazia liberale deliberativa hanno guardato al modo in cui le preferenze si formano all’interno delle istituzioni democratiche. Il processo decisionale in democrazia si conclude in effetti spesso con un voto, ma la democrazia non è da identificare con il principio della maggioranza che vince sulla minoranza, ma piuttosto con le possibilità  offerte, nel corso del processo democratico, a diversi punti di vista di confrontarsi e reciprocamente trasformarsi.
Combinando entrambe le critiche alla concezione liberale della democrazia, un quarto modello di democrazia ha sottolineato le sue qualità  partecipativo deliberative. La sfera pubblica è considerata qui uno spazio di conflitto, ma vi è anche riflessione sulle condizioni per la formazione di identità  nel corso del processo democratico.
In quello che segue, guarderò alle caratteristiche normative ma anche all’evoluzione storica di questi quattro diversi modelli. In questo senso, cercherò di superare la cesura rilevata tra teoria normativa e studi empirici, responsabile di «una mancanza di attenzione coordinata a studi comparati, informati dalla teoria, sulle innovazioni democratiche» (Smith 2009; Shapiro 2003). Ne è derivata «una separazione tra analisi istituzionali della democrazia e analisi dei principi democratici, come se appartenessero a due mondi diversi» (Beetham 1999). Cercherò, quindi, di contribuire a quel dialogo tra teorie normative e spiegazioni empiriche, la cui assenza, o almeno, debolezza, è stata considerata come un «considerevole ostacolo al progresso nell’analisi della democrazia» (Smith 2009). Come si vedrà , non solo le concezioni, ma le istituzioni stesse della democrazia si sono trasformate, includendo, con vari livelli di tensione e in mutevoli equilibri, diverse concezioni di democrazia.

Studiosa dei movimenti
sociali all’Iue di Fiesole

Donatella della Porta insegna Sociologia al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Istituto Universitario Europeo dal 2003. È direttrice del progetto di ricerca Demos (Democracy in Europe and the Mobilisation of the Society) finanziato della Commissione Europea. È anche coordinatrice del Gruppo di ricerca sull’azione collettiva in Europa (Grace). Tra i suoi libri pubblicati in Italia, I partiti politici (Il Mulino 2009); Introduzione alla scienza politica (Il Mulino); Le ragioni del no. Le campagne contro la Tav in Val di Susa e il Ponte sullo Stretto (Feltrinelli, 2008); Mani Impunite. Vecchia e nuova corruzione in Italia (Laterza, 2007); La politica locale (Il Mulino, 2006); Movimenti collettivi e sistema politico in Italia (Laterza, 1996). Il suo ultimo libro, di cui pubblichiamo in questa pagina parte dell’introduzione, si intitola Democrazie (Il Mulino, 160 pp., 13 euro).


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