Lentezza sospetta? «Tutto nelle regole»

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Fa freddo. Accade di rado a Gaza, dove l’inverno è mite. La pioggia, tanto attesa dagli abitanti, ha trasformato la strade in un pantano. In queste occasioni emerge in modo ancora più evidente la condizione di questo piccolo e martoriato lembo di terra palestinese, con infrastrutture fragili e da anni stretta in un rigido blocco israeliano.
Anche il tribunale militare di Gaza city è un riflesso delle mancanza di risorse, della povertà  aggravata da decenni di occupazione. L’umidità  generata dalla pioggia ieri scorreva lungo le pareti dell’aula dove si celebra il processo agli assassini di Vittorio Arrigoni. Ma la sofferenza di giudici, avvocati, imputati e pubblico è durata poco. Anche questa undicesima udienza è terminata nel giro di pochi minuti, come le altre di gennaio. I testimoni della difesa, per l’ennesima volta, non si sono presentati e la corte ha aggiornato il processo al 13 febbraio. Scuotevano la testa Osama Qashua, uno degli amici più stretti di Vittorio, e gli internazionali presenti mentre lasciavano l’aula. I tempi si allungano. Abbiamo chiesto d’incontrare il capo della procura militare, il colonnello Ahmad Atallah. Al colloquio hanno partecipato anche Osama Qashua e due italiane, la fotoreporter Rosa Schiano e una cooperante, Adriana Zega. 
In Italia è forte l’attenzione verso il processo per l’assassinio di Vittorio Arrigoni. Ma il procedimento avanza con estrema lentezza. Come lo spiega?
Come capo della procura militare ricordo che il compito di un giudice è quello di valutare la colpevolezza o l’innocenza degli imputati e di prendere una decisione nel modo più sereno possibile. Anche nel processo in corso per l’uccisione di Vittorio Arrigoni devono essere garantiti tutti i diritti agli imputati nei tempi e nei modi più corretti. 
Nessuno, in Italia e in Palestina, vuole un processo sommario. Neanche la famiglia di Vittorio Arrigoni. Però le ultime tre udienze sono state brevissime, sempre per lo stesso motivo: l’assenza dei testimoni convocati dalla difesa. Potrebbe essere una strategia volta proprio ad allungare i tempi del processo?
L’allungamento dei tempi va a danno degli imputati che, non dimentichiamolo, sono in stato di detenzione. Quindi non credo ad una strategia della difesa. La legge palestinese non prevede l’obbligo per i testimoni di presentarsi alle udienze di un processo, quindi quelle persone sono libere di venire in aula o di rimanere a casa. Ma non mancherò di chiedere spiegazioni al presidente della corte e di far presente le vostre osservazioni.
Dov’è Amer al Ghuola, l’imputato ai domiciliari. Nelle ultime tre udienze non si è presentato in aula e il presidente della corte aveva spiccato un ordine di arresto? 
Non sono a conoscenza di questo caso, dovrò informarmi ma ciò che posso dire è che tutto si svolge secondo le procedure e nel rispetto delle leggi. Quindi se lui ha violato le disposizioni ricevute, verrà  cercato e arrestato. Non possiamo escludere che sia riuscito a far perdere le sue tracce, potrebbe persino aver passato il confine con l’Egitto. 
Ammetterà  che la scomparsa di Abu Ghuola è sconcertante e non aiuta ad aver fede piena nel processo in corso.
Sono consapevole delle aspettative in Italia, comprendo le preoccupazioni, tuttavia posso garantire che il sistema giudiziario di Gaza continuerà  a svolgere un processo regolare, finalizzato all’accertamento della verità  e a punire i responsabili dell’assassinio di Vittorio Arrigoni. Sarà  mio compito assicurare procedure più efficienti nel rispetto dei diritti di tutte le parti coinvolte.


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