L’IMBROGLIO SULL’ACQUA

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Dopo il premier ospite da Fabio Fazio a Che tempo che fa, è toccato al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Antonio Catricalà  affacciarsi nelle case degli italiani dal salotto di Bruno Vespa per annunciare il decreto prossimo venturo. Senza che a nessuno venisse in mente di chiedergli davvero conto di come ovviare al responso contrario dei referendum di giugno, l’autorevole rappresentante del governo ha elencato i settori da aprire al mercato: l’energia, le assicurazioni, i trasporti, le farmacie, i notai, l’acqua.
Ancora più chiaro è stato un altro sottosegretario. Sempre da uno schermo televisivo (la trasmissione Agorà  di Rai3, questa volta) Gianfranco Polillo, delega all’Economia, dopo aver tentato l’ennesimo assalto a un altro baluardo dei diritti nel nostro Paese, l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ha definito senza mezzi termini il voto che ha portato alle urne 27 milioni di persone «un mezzo imbroglio», prima di raccontarci in cosa consisterà  la riforma: «L’acqua è e rimane un bene pubblico, è il servizio di distribuzione che va liberalizzato». Insomma, sarà  pure di tutti finché cade dal cielo e scorre per torrenti e fiumiciattoli, ma quando viene incanalata in tubi e rubinetti l’acqua va affidata al profitto privato. Poco male, pur essendo noi di tutt’altra opinione, se di mezzo non ci fosse stato un voto pesante che ha affermato con nettezza il contrario. Ma evidentemente quello della gestione degli acquedotti è un boccone troppo ghiotto per essere abbandonato alle decisioni popolari. 
L’imbroglio è tutto qui, alla luce del sole e senza alcun retroscena. Inutile dire che va bloccato sul nascere.


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