«La storia dei 50 dipendenti? Una sanatoria bella e buona»

by Editore | 13 Gennaio 2012 8:50

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«La riforma annunciata non è altro che un regalo ai furbetti, una vera e propria sanatoria». Il giuslavorista Piergiovanni Alleva, da anni nella consulta giuridica della Cgil, smonta la modifica dell’articolo 18 ipotizzata dal governo Monti. Oggi quella tutela non si applica sotto i 15 dipendenti: ebbene, per spingere le imprese a crescere di dimensioni, l’esecutivo vorrebbe permettere che la non applicazione del 18 fosse estesa anche alle piccole aziende che si fondono tra loro, e che pur superando l’asticella dei 16 dipendenti, non vadano però oltre i 50.
Il meccanismo quindi non vi convince?
Dico innanzitutto che a me pare una sanatoria per i furbi. E mi spiego. Già  da anni esiste, ed è almeno vecchia quanto lo Statuto dei lavoratori, la possibilità  di aggirare l’articolo 18 creando tante piccole aziende sotto i 15 dipendenti collegate tra loro. Ricordo negli anni Settanta tre fratelli che costruivano e vendevano flipper: uno costruiva gli chassis in legno, e perciò inquadrava i lavoratori nel contratto del legno; l’altro si occupava dei meccanismi, e perciò era metalmeccanico; e il terzo infine li vendeva, dunque contratto del commercio. Tutti rigorosamente sotto i 15 addetti.
Sembra la storia dei tre porcellini…
Sì, è un fenomeno diffusissimo ancora oggi. Anzi spesso si verifica che una impresa si scinde in due, separando gli operai dagli impiegati, così che almeno una delle due scenda sotto i 15 dipendenti. Allora perché questa norma? Beh per fare una sanatoria, per dire ai furbetti che adesso sono autorizzati: d’altra parte ultimamente la giurisprudenza stava cominciando a non tollerare più questi aggiramenti, quindi tagliamo la testa al toro e contenti tutti.
Ma se io faccio fondere una impresa di 30 dipendenti, a cui l’articolo 18 si applica, e una da 10, come ci si regolerà  con i lavoratori della prima? Perderebbero l’articolo 18?
Non si può dire ancora cosa succederebbe, visto che siamo allo stato delle bozze. Io però voglio interpretarla al grado minimal, quello più accettabile e logico: cioè che nessuno perda i diritti acquisiti, che tra l’altro era l’impegno di Monti al suo insediamento. Perché se addirittura si togliesse l’articolo 18 a chi ce l’ha, in forza di una fusione di aziende, andremmo anche contro la Costituzione.
E cosa succederà  ai nuovi assunti in una impresa scaturita da una fusione? Entrando in una azienda sopra i 15 dipendenti, non dovrebbero lecitamente aspettarsi di godere dell’articolo 18? 
Certo, e qui infatti si aprirebbe un altro problema. Ma più in generale, pensiamo anche come si possa sentire un imprenditore che ha sempre avuto una ventina di dipendenti, e che quindi ha visto applicarsi l’articolo 18, di fronte a un altro che ha fuso due aziende e adesso ha 48 dipendenti, ma non applica quella tutela. La vedrà  come un’«ingiustizia», potrebbe anche aprire un contenzioso per discriminazione. E insomma, per dirla tutta, io ci vedo una prima crepa per togliere tout court l’articolo 18 sotto i 50 dipendenti, in un prossimo futuro

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