«Noi, generazione T, precari come Tuareg»

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Da qualche anno in Italia vive una generazione Tuareg, giovani di età  compresa tra i 20 e i 35 anni, ragazzi che hanno imparato a muoversi nel deserto dell’assenza di punti di riferimento (politici e ideologici), con poca acqua (denaro) e poche certezze per il futuro. Li vede così, con abile intuizione, nel suo libro («Generazione Tuareg») Francesco Delzìo, ex direttore dei Giovani di Confindustria, che li descrive come una tribù che si sposta su territori sconfinati senza le bussole che avevano guidato i padri e i nonni e che per sopravvivere fa proprio come i Tuareg, affronta il deserto in gruppo superando l’iper individualismo di fine Novecento.
E allora proviamo a quantificarla e a distinguerla questa tribù: in Italia ci sono circa due milioni di persone che non studiano, non lavorano e non svolgono alcuna attività  formativa. Poi ci sono i lavoratori che non hanno un contratto a tempo indeterminato (sono 3 milioni 700 mila, pari a circa il 16% della forza lavoro): ci stanno dentro i contratti a termine, i part-time, i collaboratori e le partite Iva. Non tutti sono compresi nella fascia di età  tra i 24 e i 35 anni, questi ultimi infatti (come ci ha già  spiegato Sergio Rizzo sul Corriere) sono quelli a rischio di una pensione da «fame» considerato che chi avrà  passato 40 anni da precario percepirà  (secondo uno studio del Cerp di Torino) una pensione media di 7.303 euro lordi l’anno, cioè, 608 euro al mese. Un’ipotesi non del tutto remota visto che tra novembre 2007 e novembre 2011 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è salito di 10,1 punti molto più che nell’eurozona.
In un simile contesto però i giovani Tuareg italiani si attrezzano per sopravvivere: sanno benissimo che le banche non concederanno un mutuo per l’acquisto di una casa e loro non la comprano. A parte quelli che hanno la possibilità  di un sostanzioso aiuto dai familiari, i giovani scelgono case in affitto, in linea con la loro carriera precaria e nomade. Molti di questi ragazzi infatti studiano, alcuni di loro vanno all’estero, si specializzano, si muovono. La mobilità  è un elemento comune anche a chi non studia: per cercare lavoro i giovani (soprattutto quelli del centro-Nord) si muovono con maggiore facilità . Chi invece non vuole andar via accetta lavori precari e temporanei. «Negli ultimi tre anni le opportunità  per i giovani sono cresciute soprattutto nel lavoro a tempo determinato — spiega Federico Vione, presidente di Assolavoro e amministratore delegato di Adecco, uno dei player mondiali del lavoro somministrato — ma è la mentalità  stessa dei giovani a essere cambiata: io sono in Adecco da 14 anni e mi accorgo che le nuove generazioni non guardano più al lavoro temporaneo come una maledizione, lo accettano sapendo che non sarà  quello definitivo, magari perché hanno già  in mente un loro percorso professionale. Inoltre c’è una grande disponibilità  a muoversi, non solo sul territorio italiano ma anche all’estero e questo è sicuramente un segnale incoraggiante».
Forse un po’ meno incoraggiante è la prospettiva per chi pensa all’acquisto di una casa. Secondo i dati di un’indagine condotta da Mutui.it il 24% di chi chiede un mutuo prima casa non ha ancora 30 anni ma la difficoltà  arriva al momento di ottenere il finanziamento: nemmeno il 5% delle loro richieste verrà  accolto. «Lo stereotipo del bamboccione è, appunto, solo un cliché — afferma Alberto Genovese, amministratore delegato di Mutui.it —. I giovani avrebbero tantissima voglia di crescere e acquisire indipendenza; l’interesse degli under 30 per i mutui è elevato e tangibile, ma non sempre può, purtroppo, trasformarsi in un’azione concreta. La mancanza di contratti di lavoro stabili, la difficoltà  di trovare un garante o un cointestatario del mutuo e l’indisponibilità  di un profilo creditizio affidabile rappresentano le motivazioni principali di questo freno alla concessione del finanziamento».
Se l’acquisto della casa diventa problematico (specie con i chiari di luna dell’accesso al credito di questi tempi) anche le altre forme di pagamento dilazionato non funzionano. Lo conferma la crisi profonda che investe le società  di credito al consumo: il pagamento a rate non basta più. Nemmeno per acquistare le automobili. E allora i Tuareg come si muovono. Cosa comprano? Elettronica innanzitutto. I dati della grande distribuzione ci dicono che i giovani non rinunciano allo strumento più avanzato sul mercato: iPad, smartphone, tablet, il 70% dei piccoli risparmi viene investito su tecnologia all’avanguardia. Utilizzata con furbizia. Del resto, si sopravvive nel deserto solo se si conoscono certi trucchi e si ha in testa la mappa delle oasi dove trovare ristoro. E anche l’elettronica può avere i suoi risvolti «salvavita»: i ragazzi telefonano con tariffe agevolate, usano Skype e Wazzup per parlare e messaggiare senza spendere. Usano i social network e i forum per raccogliere informazioni (anche di tipo pratico). Sostituiscono i ristoranti con gli aperitivi, sacrificano le grandi marche alimentari (tranne che per i prodotti cult) e scelgono gli hard discount, fanno vacanze last minute e sono diventati dei veri «cercatori di offerte low cost» al punto che spesso la stessa destinazione per le vacanze è scelta solo in base alla tariffa più conveniente. Per l’abbigliamento invece, i più sofisticati scovano le grandi offerte dell’e-commerce: marchi a prezzi stracciati per chi compra online.
Però il vero problema dei giovani Tuareg non è il presente ma il futuro. Al presente si sono abituati e adeguati, sul futuro ci sono molte più incognite. In una recente indagine condotta da Eurisko sul futuro del Paese, il 78% del campione sostiene che le nuove generazioni staranno peggio dei loro genitori. È la prima volta, dal dopoguerra, che una generazione corre un simile rischio, ma l’esito non è ancora scontato. «Dobbiamo riaccendere la speranza — sostiene Delzìo — è questa la grande missione che la storia italiana ha consegnato alla generazione Tuareg. Per progettare un futuro migliore del presente, per mettere in discussione e innovare regole e comportamenti dei padri, per riscoprire il gusto della sfida». Magari con una nuova classe dirigente formata da giovani che hanno attraversato il deserto.


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