«Salviamo il parco geominerario» Cresce la protesta contro la chiusura

Loading

Il Parco geominerario storico e ambientale della Sardegna, riconosciuto dall’Unesco nel 1997 e istituito formalmente nel 2001 con decreto del ministro dell’ambiente, rischia la chiusura. A oltre 5 anni dalla nascita non sono state utilizzate neppure le risorse finanziarie stanziate dallo stato. A causa di questa negligenza il Consorzio del parco è stato commissariato e oggi siamo alla stretta finale: o verranno rimosse le cause che ne hanno impedito il funzionamento, o lo stesso inserimento del parco nella rete dei geoparchi dell’Unesco non avrà  luogo. 
Per evitare questa deriva le associazioni che aderiscono alla Consulta del parco hanno attivato un presidio permanente davanti a Villa Devoto, la sede della giunta regionale sarda. Chiedono che regione e il governo attuino il progetto del Consorzio. La loro lotta si protrae ormai da 4 mesi e oggi è previsto un incontro con il presidente Cappellacci. «La nostra è un’azione di protesta, determinata ma non violenta», sottolinea Giampiero Pinna, coordinatore della Consulta delle associazioni, uno degli animatori del Consorzio. «La Sardegna sta vivendo uno dei momenti più difficili della sua storia. È di questi giorni la decisione dell’Alcoa di chiudere lo stabilimento di Portovesme licenziando 700 lavoratori. Se questo provvedimento venisse confermato saranno a rischio altri 1000 posti di lavoro nell’indotto. Risulta perciò sconcertante la negligenza delle nostre classi dirigenti, incapaci di rendere operativi i progetti precedentemente programmati».
All’istituzione del parco che coinvolge le 8 aree in cui è stata suddivisa la Sardegna, si era giunti grazie all’impegno di un vasto movimento popolare formato da associazioni culturali e ambientaliste, organizzazioni sindacali, personalità  del mondo accademico e dagli stessi ex minatori che vedevano nella nuova istituzione un’occasione per la conservazione, il recupero e la valorizzazione di un patrimonio storico-culturale connesso all’esperienza millenaria dell’attività  mineraria.
Ma c’è anche un’altra ragione, non meno importante, per cui il parco è stato concepito: collegare il futuro delle nuove generazioni all’eredità  delle popolazioni vissute in quei territori per costruire una nuova progettualità  delle risorse funzionale ai bisogni delle comunità  locali. Questo obiettivo non è astratto, dichiarano i sostenitori del parco. Esistono esperienze significative anche nel nostro paese, dove si è lavorato, una volta dismesse le attività  minerarie, sia per la salvaguardia del patrimonio archeologico industriale che per la sua valorizzazione attraverso la riconversione economica e sociale dei territori interessati. Gli effetti di questi interventi sono stati il più delle volte incoraggianti, si è creata nuova occupazione soprattutto nei settori della ricerca, delle attività  culturali e di quelle turistiche. C’è chi ipotizza che il parco potrebbe potrurre lavoro per 800-1000 persone. In Sardegna la consapevolezza di questa alternativa è arrivata in ritardo, e ancora oggi si è costretti a dar vita a presidi e mobilitazioni di massa per vedere riconosciuta la validità  di un progetto che potrebbe svolgere un ruolo importante nello sviluppo dell’economia isolana, non solo del Sulcis. 
L’isola ha pagato un prezzo elevato nell’aver difeso oltre il dovuto «l’indifendibile», un’attività  estrattiva giunta ormai a esaurimento. Di ciò vengono accusate oggi le classi dirigenti e anche le forze sociali, ritenute colpevoli di aver ritardato l’avvio di uno sviluppo diverso.
È difficile comunque attribuire responsabilità  per questi ritardi, e sarebbe persino ingeneroso. L’abbandono delle attività  minerarie per molti ha significato una cesura con la propria storia. Non va dimenticato che le attività  minerarie, in Sardegna, hanno avuto un’importanza rilevante nella vita di tante persone. Le vicende di Montevecchio ne sono un esempio. La miniera fu la prima data in concessione e già  nel 1865 divenne, con 1100 operai, la più importante non solo dell’isola ma del Regno. La stessa si distinse per aver avviato i processi di elettrificazione e per l’adozione di nuovi sistemi di perforazione, prima a secco e poi ad acqua, ritenuti meno nocivi per i minatori. Certo, le condizioni di lavoro dei minatori non erano le migliori. Negli anni Quaranta, solo a Carbonia lavoravano 18 mila minatori: era la realtà  industriale più importante d’Italia dopo la Fiat.
Oggi l’attenzione è comunque rivolta all’attualità . E il presidio a Villa Devoto, ribadiscono i rappresentanti delle associazioni, verrà  mantenuto sino a quando il presidente della Regione non sottoscriverà  l’intesa con il ministro dell’Ambiente per dare corso alla riforma del Consorzio. È un impegno importante che va sostenuto con determinazione, anche se non sfuggono le difficoltà  che nasceranno nell’attuazione delle attività  del Consorzio. I rappresentanti delle associazioni hanno ben chiaro il dovere di esprimere la propria solidarietà  ai lavoratori dell’Alcoa contro la chiusura della fabbrica.


Related Articles

Salute, monumenti, casa, lavoro quanto ci costa snobbare Kyoto

Loading

In Italia nel 2005 l´entrata in vigore. Le emissioni nocive invece di diminuire sono aumentate del 12% (la Repubblica, VENERDÌ,

Droni in volo sulle centrali nucleari Il mistero che mette paura alla Francia

Loading

Dall’inizio di ottobre sono ormai 15 le centrali nucleari francesi sorvolate da droni che restano misteriosi

Green jobs Rifiuti, e il Paese torna al lavoro

Loading

89.000 posti se l’Italia nel 2020 riciclerà il 50% degli scarti urbani. Lo prevede il rapporto del consorzio Conai presentato oggi agli Stati Generali dell’economia sostenibile a Rimini Fiera, dove si fa il punto sul futuro dell’ambiente

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment