Modena, sotto scorta per i suoi articoli sulla mafia al Nord

by Editore | 12 Gennaio 2012 8:54

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MODENA – Un altro giornalista minacciato dalle cosche per aver fatto il proprio mestiere fino in fondo. E questa volta è un giornalista che lavora al Nord. Per aver raccontato il malaffare, Giovanni Tizian, collaboratore della Gazzetta di Modena, di siti online come Linkietsta, del mensile Narcomafie del Gruppo Abele, è costretto a vivere sotto scorta. Una quindicina di giorni fa ha ricevuto una telefonata, gli hanno detto che per permettergli di continuare a lavorare, avrebbero dovuto assegnargli una protezione armata. Da allora due agenti lo accompagnano dappertutto, da quando esce di casa a quando rientra. «Cerco di trovare il modo di continuare a fare questo mestiere. Non penso che un giornalista possa cambiare il mondo, ma credo nell’utilità  sociale di questo mestiere», dice Tizian, che assicura: «Non ho paura, io sono nella legalità . Certo, la mia è diventata una vita strana. Se vado anche solo a fare spesa, mi accorgo di fare tutto in fretta, non mi concentro neppure sulle cose da comprare. I ragazzi della scorta sono bravissimi, a volte mi sembra di abusare di loro. Mia madre, che ne ha già  passate tante, è consapevole, mi dà  forza e tranquillità ». 
Alla Gazzetta di Modena, giornale sul quale da tre anni scrive di fatti di mafia, del radicamento delle ‘ndrine nel territorio con attività  anche legali, hanno scoperto il nuovo genere di vita di Tizian quando, dopo Natale, in redazione sono entrati anche gli uomini che non lo lasciano mai. Della scorta non aveva parlato con nessuno, Giovanni, nemmeno con il suo direttore Antonio Ramenghi: «È stato minacciato, anche se non si può sapere come e perché per il segreto di indagine. Non è per nulla intimorito. Continuerà  a fare il suo lavoro, come noi continueremo il nostro senza cedere di un millimetro. Anzi, con più determinazione», commenta Ramenghi che paragona Tizian, un collaboratore di 29 anni, a nomi notissimi come Roberto Saviano, Lirio Abbate, Rosaria Capacchione, minacciati e sotto scorta a causa delle loro inchieste sul crimine organizzato. Stesse giornate complicate. La mafia non guarda in faccia a nessuno. 
Non è la prima volta che le mafie scardinano la sua vita. Quando aveva sette anni e viveva a Bovalino, nella Locride, Giovanni è rimasto orfano. Suo padre Giuseppe, bancario, è stato ucciso dalla ‘ndrangheta a colpi di lupara. Lo racconta lui stesso in un video sul sito della Gazzetta, che ieri ha ricevuto un’infinità  di messaggi di solidarietà  su Twitter (con l’hastag #nonlasciamolosolo) e Facebook: «Un anno prima dell’omicidio di mio padre avevano incendiato la fabbrica di mio nonno. Eravamo soli, vittime, sotto una cappa asfissiante. Allora c’era anche la paura a portare avanti certi casi. Il caso di mio padre fu archiviato. Anche questo ci ha spinto a salire al Nord, a Modena ci siamo sentiti accolti come in un rifugio». Poi è tornata la memoria, quando, per il suo lavoro di informazione (riassunto anche in un libro, “Gotica. ‘Ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea”), Tizian ha incrociato una criminalità  simile a quella che gli aveva tolto il padre. Clan dei casalesi, sparatorie in Emilia, riciclaggio a San Marino. «Ho preso coscienza del mio passato di pari passo con l’attività  giornalistica». E poi Libera di don Ciotti, l’associazione daSud, tra giovani che non vogliono cedere alle mafie. Una vicenda emblematica, la conferma viva di ciò che lui stesso aveva scritto: «Anche qui in Emilia le mafie ormai si sono radicate». Da ogni istituzione politica e dai partiti, di destra e di sinistra, è stato un coro di solidarietà  per «non farlo sentire solo».

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