Museo di Auschwitz senza l’Italia, padiglione chiuso

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Il memoriale, pensato alla fine degli anni 60 come sintesi di arte e storia, già  entro l’ottobre dello scorso anno avrebbe dovuto essere smontato e sostituito. In caso contrario, in mancanza di un nuovo progetto che prestasse più attenzione alla storia e alla didattica della memoria, lo spazio destinato all’Italia sarebbe stato concesso ad altri Paesi che da tempo, esclusi dalle mostre nazionali dei singoli memoriali, attendono uno spazio libero. 
La storia del Blocco 21 è nota: nel 1971, l’Aned (associazione nazionale ex deportati) ottiene il consenso dalle autorità  polacche per predisporre un memoriale sulla deportazione degli italiani. Nel 1975 lo studio Bbpr di Milano (Banfi, Belgiojoso, Peressutti, Rogers) presenta il primo progetto. La difficoltà  nella raccolta dei fondi porterà  alla realizzazione dell’opera solo nel 1980, e il 13 aprile il memoriale sarà  inaugurato. Belgiojoso spiegava così l’istallazione: «Ci siamo sforzati di ricreare allusivamente un’atmosfera di incubo, l’incubo del deportato straziato tra la quasi certezza della morte e la tenue speranza della sopravvivenza, mediante un percorso che passa all’interno di una serie infinita di spire di una grande fascia elicoidale illustrata, che accompagna il visitatore dall’inizio alla fine. È l’idea di uno spazio unitario ossessivo». Primo Levi, chiamato a redigere il testo, faceva parte del comitato esecutivo che decise la natura del memoriale, più artistico che informativo. La grande spirale immaginata da Belgiojoso fu poi illustrata da Mario Samonà , mentre il compositore Luigi Nono concesse l’uso del brano musicale «Ricorda che cosa ti hanno fatto ad Auschwitz»; il tutto con l’obiettivo, dichiarato alla direzione del Museo, che il padiglione italiano «fosse un luogo dove la fantasia ed i sentimenti di ognuno, più delle immagini e dei testi, rendessero l’atmosfera di una grande e indimenticabile tragedia» (dichiarazione di Primo Levi e Gianfranco Maris). 
Dopo il 1989 molti dei padiglioni memoriali presenti ad Auschwitz sono stati rinnovati, in concomitanza con la revisione complessiva del sito. Francia, Olanda, Belgio, Ungheria hanno riscritto la storia della loro deportazione, più in linea con le nuove acquisizioni della ricerca e delle forme della memoria nazionali. Anche in Italia, dopo che il governo italiano ha approvato un finanziamento di 900 mila euro per il restauro del «Memoriale in onore degli italiani caduti nei campi di sterminio», a partire dai primi mesi del 2008 alcuni storici (tra i quali Giovanni De Luna e Michele Sarfatti) si sono chiesti se al posto dell’allestimento originario, artistico, non ne fosse necessario uno nuovo. La spirale di Belgiojoso racconta infatti l’occupazione delle fabbriche, l’Ordine Nuovo, Gramsci, l’antifascismo, in un discorso considerato difficile e arduo da capire anche sul piano storico. L’Aned per parte sua ha difeso il memoriale, sostenendo che un’opera d’arte parla un linguaggio universale e sempre comprensibile, come era nell’intento di chi progettò l’istallazione del Blocco 21. 
Intanto le autorità  polacche avevano preso contatto con il governo Berlusconi (Gianni Letta fungeva da mediatore), ma ora la realtà  e davanti agli occhi di tutti. Il padiglione è chiuso, il memoriale degli italiani «censurato» e si spera che, anche a partire dal dibattito che si è aperto di recente sulle forme della memoria e sui modi di trasmetterla, il governo possa intervenire a fianco dell’Aned per consentire la riapertura al pubblico del Blocco 21, in attesa che un nuovo progetto (di restauro o di revisione dell’attuale) sia realizzato.


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