No alla tassa sul permesso di soggiorno, si muove il governo?

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Così Meltingpot descrive tra l’altro la norma: “ai 14, 62 euro per la marca da bollo da apporre all’istanza, ai 27, 50 euro per il rilascio del titolo di soggiorno in formato elettronico, ed ai 30 euro per la spedizione della raccomandata a poste italiane, si dovranno aggiungere dagli 80 ai 200 euro a seconda della durata del permesso di soggiorno richiesto.”

Questa tassa che pesa su persone già  costrette a una vita precaria, aggravata dalla crisi, risulta ancora di più beffarda in quanto era stata presentata come un contributo fondamentale per migliorare la macchina amministrativa italiana e per rendere il servizio per gli stranieri “ancora di più” celere e adeguato.”

Si leggeva qualche giorno fa sul sito stranieriinitalia.it: “è inaccettabile che dove la legge è uguale per tutti esistano leggi “più uguali” delle altre. Perché se dal trenta gennaio una legge obbligherà  tutti gli immigrati a vuotarsi le tasche per il permesso di soggiorno, c’è n’è anche una, in vigore dal 1998, che dice che il rinnovo del permesso dovrebbe arrivare entro venti giorni (venti, non quarantacinque!) dalla domanda. (…)

Dal trenta gennaio, più di prima, si dovrà  allora pretendere che lo Stato rispetti le sue leggi centrando quel traguardo. Altrimenti, quando Aziz sborserà  cento euro e si vedrà  arrivare comunque il permesso dopo dieci mesi, cosa dovrà  fare? Potrà  chiedere il rimborso dei soldi versati per un servizio che non gli è stato garantito? Quali saranno gli strumenti a sua disposizione?”

Nei giorni scorsi però l’opinione pubblica e le associazioni del sociale si sono fatte sentire contro la tassa richiedendo al nuovo governo di dire qual è la sua posizione in merito.

Si è mobilitato il mondo cattolico con la CEI. “L’entrata in vigore, il prossimo 30 gennaio, del decreto del Governo precedente che stabilisce una sovrattassa da 80 fino a 200 euro per i permessi di soggiorni e la carta di soggiorno degli immigrati residenti in Italia – mentre rimangono esclusi i permessi per protezione umanitaria e la conversione dei permessi di soggiorno validi – risulta essere “un sacrificio aggiuntivo solo per gli immigrati, già  profondamente provati in questo tempo di crisi economica”. Si tratta – spiega il Direttore generale della Fondazione Migrantes mons. Giancarlo Perego – di una “tassa ingiusta anche se porterà  nelle casse dello Stato almeno altri 200 milioni di euro, oltre ai già  100 milioni che ogni anno gli immigrati versano allo Stato italiano”.

La Migrantes auspica “almeno che le risorse aggiuntive che gli immigrati verseranno possano finalmente costituire un Fondo di solidarietà  presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali o del Ministero della Cooperazione internazionale e Integrazione, ad esempio a tutela dei ricongiungimenti familiari, della salute degli immigrati; a favore dell’acquisto o del cambio della casa (l’85% degli immigrati contro il 15% degli italiani è in affitto, che pesa talora oltre il 50% sullo stipendio), di progetti di integrazione scolastica per gli oltre 700.000 studenti, più che ancora una volta per la gestione della sicurezza”.

Si era mossa anche la Cgil: “L’intero processo che regola l’ingresso e l’avvio al lavoro degli stranieri in Italia “necessita di una profonda manutenzione per renderlo coerente con il fenomeno delle migrazioni ormai strutturale nella nostra epoca”. La presidenza dell’INCA auspica che “si arrivi presto ad una modifica del provvedimento e chiede al Ministro dell’Interno e al Ministro per la Cooperazione Internazionale e l’Integrazione che si attivino per un incontro con le parti sociali e con i Patronati sulle tematiche delle procedure di ingresso e della integrazione dei cittadini stranieri”, conclude Piccinini, presidente dell’INCA Cgil.

Così ieri abbiamo potuto registrare importanti dichiarazioni di esponenti del governo Monti. Il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, e il ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione, Andrea Riccardi, hanno deciso di “avviare una approfondita riflessione e attenta valutazione sul contributo per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno degli immigrati regolarmente presenti in Italia, previsto da un decreto del 6 ottobre 2011 che entrerà  in vigore a fine gennaio”.

“In particolare, – si legge in una nota congiunta appena diffusa dall’ufficio stampa del Viminale – in un momento di crisi che colpisce non solo gli italiani ma anche i lavoratori stranieri presenti nel nostro Paese, c’è da verificare se la sua applicazione possa essere modulata rispetto al reddito del lavoratore straniero e alla composizione del suo nucleo familiare”. Staremo a vedere, le premesse sono buone.

Importante sarebbe però fare un ragionamento più complessivo. Ci aiuta ancora l’articolo di Stranieriinitalia citato in precedenza: “Diventa infatti sempre più attuale una rivendicazione vecchia di secoli, quel “no taxation without representation” che fu tra gli slogan della Rivoluzione Americana. Se lo Stato mi tassa, e si definisce democratico, dovrebbe darmi anche la possibilità  di scegliere chi amministrerà  i miei soldi. Lasciamo da parte il voto politico. In troppi obietterebbero che non si può dare ai non cittadini la possibilità  di eleggere o diventare parlamentari, orientando le scelte del Paese su temi sensibili come la laicità , la famiglia, le pari opportunità  o la politica estera. Ma l’elettorato attivo e passivo alle elezioni locali è di certo un’altra cosa”. Se gli stranieri pagano le tasse devono avere i benefici che ciò comporta. Elementare, ma non in Italia.[PGC]


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