Non nati, ma morti e sepolti

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«Un’oasi di pace», promettono i suoi ideatori, ma sembra piuttosto un inferno dell’immaginazione il «Giardino degli Angeli» inaugurato ieri al Laurentino di Roma e destinato ai «bambini mai nati» a causa di un’interruzione di gravidanza, spontanea o voluta. I bambini mai nati sono bambini mai morti. E allora, se è ai morti che si deve sepoltura, perché volerli sepolti, considerandoli dunque morti? Perché creare per loro un cimitero (il secondo in Italia, dopo l’analogo milanese), ossia un luogo di pubblico compianto, che di fatto li equipara ai cittadini che furono e non ci sono più?
Per andare incontro, sostiene la vicesindaco Sveva Belviso, alle esigenze «di chi vuole assicurare un luogo di sepoltura al proprio bambino non nato, che in mancanza di richieste esplicite verrebbe smaltito come rifiuto ospedaliero». Su richiesta, infatti, accade già  adesso che dopo un aborto il feto venga riconsegnato alla madre. Col «giardino degli angeli», però, siamo un passo oltre il diritto personale al compianto del feto: si sancisce di fatto la sua istituzionalizzazione. Che implica l’equiparazine dei «non nati» ai defunti. Quei feti non sono più una possibilità  di vita non realizzata: sono bambini morti. Con tutti i presupposti e le conseguenze che questo comporta.
«Assolutamente no», dice Belviso, «il progetto non vuole intaccare i principi sanciti dalla legge 194». Invece li intacca eccome, conferendo di fatto al feto lo statuto di persona (morta) e di cittadino (con diritto di pubblica sepoltura). Qui non è affatto in questione il desiderio materno, o genitoriale, pienamente legittimo e comprensibile, di compiangere un figlio mancato. E’ in questione la creazione di uno spazio pubblico di materializzazione spettrale, e macabra, dei non-nati e non-morti in non-nati morti e sepolti, con la certificazione delle relative procedure amministrative (la richiesta della sepoltura dovrà  essere inoltrata alle Asl che a loro volta la gireranno entro pochi giorni ai servizi cimiteriali). Uno spazio pubblico, un servizio pubblico, una procedura amministrativa bastano a definire una categoria della cittadinanza: la categoria dei non-nati e tuttavia morti, compianti come morti e tuttavia mai nati. 
E bastano a definire contemporaneamente gli esclusi e i reietti dalla medesima categoria. Che ne sarà  infatti dei non-nati che non verranno sepolti, nel caso che le loro madri, o i loro genitori, li considerino effettivamente non-nati, dunque non-morti, dunque da ricordare, o da dimenticare, con un rito o un’elaborazione diversi dalla sepoltura? Se l’immaginario collettivo e la mano pubblica fanno spazio alla sepoltura dei non-nati, dove metteranno i non-sepolti, se non nello spazio ancor più spettrale di una colpa raddoppiata, che incombe sulla comunità  senza nemmeno la copertura di una lapide?


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