Petrolio, l’era del fracking
A cambiare questo senso di urgenza è arrivata l’estrazione di petrolio nelle profondità marine (come nel Golfo del Messico: vedi incidenti disastrosi), o lo sfruttamento delle sabbie bituminose, e poi anche le fratture idrauliche con perforazioni verticali, che permettono di succhiare gli idrocarburi bloccati nelle formazioni rocciose profonde (è chiamato shale oil, petrolio di scisto). Ora le grandi compagnie fanno previsioni ottimiste – proprio negli ultimi due giorni compagnie petrolifere cinesi e francesi hanno annunciato giganteschi investimenti nelle cosiddette «risorse non convenzionali». Grazie a questa nuova abbondanza, ci dicono ora, il peak oil – leggi: la fine del mondo industrializzato – torna ad allontanarsi.
Gli Stati Uniti, che hanno sviluppato la tecnologia industriale dell’estrazione profonda (detta fracking), stanno all’apice della produzione mondiale, superando i rivali russi di Gazprom. Anche l’Unione Europea, necessità energetiche obbligano, ha iniziato a usare questa tecnologia. In Polonia, un paese che dipende per il 64% dalle fonti energetiche russe, sono state individuate riserve per 5.3 milioni di metri cubici di gas profondo. Il governo polacco, di stampo neoliberale, di recente ha approvato una nuova legge estrattiva che permette alle multinazionali Halliburton, ExxonMobil e Chevron di «partecipare alla riduzione dell’impronta ecologica polacca e di realizzare gli obiettivi sulle emissioni di carbonio» (sic). Ma gli obiettivi ambientali c’entrano poco. Il primo ministro polacco Donald Tusk ha recentemente firmato un contratto energetico con Washington, che sarà operativo nel 2014, entrando così all’iniziativa di estrazione commerciale Global Shale Gas Initiative (Gsgi). Rendendo in parte inoperativo l’impatto del gasodotto Nord Stream, che une la Germania con Russia, sviluppato per garantire il 40% delle necessità¡ energetiche dell’Unione Europea. The Economist ha definito Polonia «un settimo cielo del fracking».
Il fatto è il fracking resta una tecnologia sporca, e anche pericolosa. Significa iniettare negli strati geologici milioni di litri di acqua ad alta pressione, mista a sabbie e sostanze chimiche (un miscuglio di 260 distinte sostanze tossiche, di cui almeno una sessantina notoriamente cancerogene o mutagene). Così si contaminano l’ambiente e le falde acquifere, e si mette a rischio la popolazione nei paraggi. Gli esempi in merito non mancano. L’Agenzia federale usa per l’ambiente (Epa) ha segnalato in un rapporto pubblicato in dicembre che la contaminazione dell’acque potabile nel Wyoming è probabilmente dovuta al fracking, mentre la compagnia Cabot Oil & Gas ha dovuto costruire un piccolo oleodotto e anche risarcire gli abitanti della cittadina di Dimock, in Pennsylvania, perché ha contaminato con metano i pozzi di acqua potabile. In Texas, nei pressi di una zona di impianti di fracking, sono stati registrati nell’aria alti livelli di naftaleno, benzene e xileno che provocarono negli ignari abitanti diarrea, dolori musculari e persistenti cefalee. Sono documentati i casi di almeno sette fiumi contaminati con radioattività in Pennsylvania, come denunciato nel film Gasland (2010) o in vari articoli del New York Times durante 2011.
Non solo. Domenica scorsa le autorità dell’Ohio hanno ordinato la chiusura di un impianto di fracking vicino alla cittadina di Youngstone, considerato la causa di un piccolo terremoto. Già¡ l’analista britannico George Monbiot, sul Guardian, aveva documentato che queste estrazioni idrauliche hanno provocato in Lancashire dei piccoli terremoti. La nuova tecnologia estrattiva comincia a suscitare proteste, dall’Inghilterra (cove è nata una coalizione Frack Off) alla Nuova Zelanda. Perché infine, davvero abbiamo bisogno di tanto nuovo gas e petrolio?
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