“Inopportuni quei vincoli patrimoniali” così SuperMario difende le banche

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MILANO – Il braccio di ferro tra le banche italiane e l’Eba continua e nel mezzo ci stanno i titoli di Stato italiani e il futuro dell’economia, imprese e famiglie. Un braccio di ferro che va avanti almeno dallo scorso novembre quando l’autorità  europea delle banche ha deciso – in base agli stress test sui dati di bilancio al settembre 2011 – di imporre 112 miliardi di rafforzamento patrimoniale. Il metodo di calcolo ha subito creato malumori tra i banchieri italiani: venivano calcolate infatti le potenziali minusvalenze sui titoli di stato italiani presenti nei portafogli a lungo termine delle banche, e al contrario gli istituti francesi e tedeschi potevano contare sulle plusvalenze sui titoli di stato dei loro paesi. Ma finora a nulla erano servite le contestazioni ufficiali dell’Abi nei confronti delle autorità  europee, anche se nei fatti le banche italiane stanno attuando una sorta di sciopero bianco, non impiegando la liquidità  ottenuta a tassi bassissimi dalla Bce nell’acquisto di titoli di stato sul mercato secondario. E infatti lo spread nelle ultime settimane è rimasto inchiodato sopra i 500 punti, quasi a voler segnalare una forma di pressione della lobby dei banchieri nei confronti del governo, chiamato nelle prossime riunioni del Consiglio europeo a dire la sua su questo meccanismo perverso.
Un primo schiarimento a questa intricata vicenda è però arrivato ieri con le parole pronunciate da Mario Draghi. Il governatore ha riconosciuto che l’esercizio dell’Eba è corretto nella sostanza ma in qualche modo sbagliato nella tempistica. La sua applicazione, infatti, doveva arrivare una volta che il fondo salva-stati fosse già  pienamente operativo, ma così ancora non è. Dunque le banche, come per esempio Unicredit, si sono trovate a dover affrontare ricapitalizzazioni molto difficili sul mercato in assenza di un paracadute “pubblico” come il fondo salva-stati. Di qui la richiesta dell’Abi di rimandare l’applicazione delle regole Eba a quando il fondo troverà  la sua applicazione, presumibilmente durante l’estate. Una richiesta che sembra in qualche modo essere sostenuta da Draghi quando dice che «l’esercizio dell’Eba, pur giusto, si è rivelato prociclico e credo che in futuro verrà  ripetuto sulla base di premesse diverse». La speranza dei banchieri, a questo punto, è che sulla scorta delle considerazioni del governatore della Bce vi possa essere un intervento politico sull’argomento Eba a livello di Consiglio Europeo in programma per la fine del mese.
Intanto, però, si naviga a vista. Nelle aste di ieri, che hanno riguardato Bot a sei mesi e un anno, cioè a breve termine, la domanda da parte delle banche è stata elevata ma soprattutto per ottemperare il forte flusso di richieste della clientela retail. Oggi è in programma un’asta di Btp a tre anni e anche in questo caso non dovrebbero esserci problemi, in quanto le banche andranno a impiegare la liquidità  presa in prestito dalla Bce con la stessa scadenza di rimborso. E dunque i rendimenti dovrebbero scendere ulteriormente. Ma quando arriveranno le emissioni più a lungo termine, i Btp a 10 o 15 anni, l’adesione del mercato sarà  tutta da verificare. Mentre già  il 20 gennaio gli istituti italiani dovranno mettere nero su bianco le modalità  con cui reperire quei 15 miliardi di maggior capitale richiesto dall’Eba. E c’è da scommettere che sia Mps, che Banco Popolare che Ubi non annunceranno alcun nuovo aumento di capitale in attesa di qualche svolta a livello europeo.


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«La banca cen­trale esi­ste per pre­ve­nire com­por­ta­menti i quali pro­vo­cano l’instabilità della finanza: deve gover­nare l’evolvere delle isti­tu­zioni finan­zia­rie, pro­muo­vere le isti­tu­zioni e le prassi sta­bi­liz­zanti, sco­rag­giare quelle desta­bi­liz­zanti» (H.P. Min­sky, Sta­bi­li­zing an Unsta­ble Eco­nomy, Mc Graw-Hill, New York, 2008 (1986), p. 349).

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