“Obama troppo europeo, ci ridurrà  come l’Italia” Romney all’attacco del “presidente statalista”

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MANCHESTER (New Hampshire) – «Altri quattro anni con Barack Obama e gli Stati Uniti saranno ridotti come l’Italia. Questo presidente è un fallimento, ma grazie agli elettori del New Hampshire, e presto della South Carolina, il suo tempo sta scadendo». Mitt Romney assapora la vittoria nella seconda tappa delle primarie repubblicane, il percorso a ostacoli verso la nomination: «Abbiamo fatto la Storia». Il successo è stato netto: 39,4% dei voti, contro il 23% del secondo piazzato Ron Paul e il 17% di Jon Huntsman. Un’affermazione prevista, facilitata dal fatto che qui Romney si muoveva in casa: ha letteralmente una delle sue case di villeggiatura in questo Stato, ha governato il limitrofo Massachusetts, è un uomo del New England cioè tendenzialmente un moderato. Ma la dinamica di questa campagna elettorale lo porta a inseguire la destra più radicale, dai fondamentalisti religiosi al movimento anti-Stato del Tea Party. E così l’ex moderato Romney anche nella sua visione del mondo e della politica estera diventa un ultra-nazionalista.
Dell’Italia e dell’Europa parla sempre più spesso, per attaccarci associandoci al presunto “socialismo” di Obama. È il tema su cui torna proprio celebrando la sua seconda vittoria: «Obama vuole trasformare l’America in uno Stato del Welfare assistenziale, di tipo europeo. Lui prende ispirazione e indicazioni dalle capitali europee. Io voglio restaurare l’America nelle sue virtù migliori, di intraprendenza e libero mercato. Questo presidente ha fiducia nello Stato, io ho fede nel popolo americano». Sottolinea che proprio alla vigilia del voto nel New Hampshire il debito pubblico complessivo degli Stati Uniti (se si include il sistema pensionistico) ha raggiunto il 100% del Pil: «Ecco, sotto questo presidente siamo avviati lungo la china dell’Italia e della Grecia, andremo a finire come loro, se dovesse governare lui per un altro quadriennio. Ma non accadrà . Obama ha fatto salire il debito, io lo ridurrò e saprò azzerare il deficit. Lui ci ha fatto perdere la tripla A nel rating, io la riconquisterò».
L’Italia diventa nel discorso di Romney un babau, la metafora della peggior decadenza economica, il laboratorio mostruoso dei danni dello statalismo e dell’assistenzialismo: «Obama vorrebbe trasformare gli americani in un popolo che dipende dagli aiuti dello Stato, noi glielo impediremo. Con le sue politiche stataliste, il reddito medio degli americani è sceso del 10% negli ultimi tre anni. Lui si accontenta, si sveglia ogni mattina e dice: potrebbe andare peggio. Questo non è l’atteggiamento americano. Ciò che ci definisce come americani è uno spirito diverso: noi vogliamo che le cose vadano meglio, e trasformiamo l’ottimismo in fatti».
Alla prossima tappa il 21 gennaio in South Carolina lui dovrà  però respingere gli attacchi che vengono dal suo stesso campo. Curiosamente sono attacchi “da sinistra”, o quantomeno populisti, quelli di Newt Gingrich (che nel New Hampshire ha avuto il 9,5%) e del texano Rick Perry (che ufficialmente non partecipava alla primaria di martedì). Lo dipingono come un «finanziere-avvoltoio» (Perry), uno che «deve spiegare agli americani se ha guadagnato centinaia di milioni smembrando aziende, facendole fallire, licenziando dipendenti» (Gingrich). È un’abile manovra perché questi sono temi cari anche alla base del Tea Party, quella destra anti-establishment che odia «quelli di Wall Street». 
Romney ha un fianco scoperto: perfino nel successo del New Hampshire, il 60% dei seguaci del Tea Party gli hanno voltato le spalle. Lui risponde alle accuse sulla carriera di speculatore alla testa di Bain Capital, dice che gli americani non sono invidiosi del successo e non premiano queste forme di risentimento; il mio messaggio è chiaro e inequivocabile, io difendo il capitalismo, sono un fautore incondizionato del libero mercato, senza riserve e senza pentimenti». 
Un altro che può dargli fastidio in South Carolina è il cattolico italo-americano Rick Santorum (secondo per una manciata di voti nell’Iowa, ha ottenuto il 9,4% nel New Hampshire). Al Sud pesa di più la base dei fondamentalisti cristiani, gli evangelici, che non vedono in Romney un candidato abbastanza intransigente contro l’aborto e i matrimoni gay. Gingrich e Santorum corteggiano la destra religiosa anche in politica estera, con posizioni rigidamente filo-israeliane. Ed ecco che Romney li insegue anche su questo terreno. Il suo discorso internazionale diventa quello di un falco: «Obama pratica l’appeasement, la conciliazione e il cedimento nei rapporti con le altre nazioni. Io cancellerò i suoi tagli al budget della Difesa, ricostruirò delle forze armate che devono essere così potenti da scoraggiare chiunque a sfidarci. Obama critica Israele, io difenderò sempre i nostri migliori amici. Lui chiede scusa per i presunti errori dell’America, io non lo farò mai, la mia missione sarà  restituire all’America la sua grandezza dei tempi migliori». Le primarie appassionano soprattutto gli americani, ma il resto del mondo comincerà  a prendere nota di questo programma.


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