Quegli Otto Secondi di Pensieri Dilatati

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Non pensavi, vero?, che i muri, il soffitto e il pavimento fossero elastici al punto da piegarsi, sformarsi e tornare come prima senza subire una sola fessura, una crepa. Che cosa sarà ?, è la prima e l’ultima domanda, ma il tuo cervello non aspetta la risposta e scatta a ritroso nel tempo, verso un punto della tua vita: un giorno qualunque o il più bello o il più brutto, quella volta che… O invece resta lì immobile, come il tuo corpo disteso sul divano, paralizzato da questa specie di vento che spinge, da questa pressione che non sembra cessare, dal tremore che fa vibrare le finestre, le vetrine, i bicchieri, tutti i cristalli della città  nello stesso momento. 
Mai visto il tempo dilatarsi a questo modo, flettersi come i muri, gonfiarsi, espandersi come una vescica piena. D’accordo, il cervello può partire di slancio, avanti o indietro, oppure potrebbe aspettare gli eventi, guardare il soffitto, sentire i muscoli vibrare come tutti i cristalli della città , però avverti che questo è uno dei pochi casi, nella tua vita, in cui è il corpo che dovrebbe precedere il pensiero, liberarsene, uscirne e decidere autonomamente. È il corpo che dovrebbe scattare: invece, mentre stai a pensare tutte queste stronzate, il corpo è lì, che obbedisce a quella che alla fine è solo la paralisi del tuo pensiero. Hai già  perso troppo tempo e ti rendi conto che non hai neanche avuto la dignità  di provare paura, neanche per una frazione di secondo hai avuto il terrore che tutto ti crollasse addosso, niente, resti solo inerte e senti che, a differenza del tuo cervello, le vibrazioni non perdono tempo a pensare, sono arrivate inattese e adesso investono l’oceano delle cose senza stare a rifletterci su. Tu, invece, ancora disteso sul divano come ogni mattina prima di partire al lavoro — anzi, non proprio disteso ma inchiodato, a dire il vero — mentre il televisore acceso sembra rovesciarsi sul pavimento e invece rimane obliquo con un suo insensato equilibrio, tu non puoi fare a meno di pensare e ti accorgi che non pensi alle cose a cui dovresti pensare: il tuo bambino che è già  a scuola e anche lui, in questo momento, sarà  immerso in questo gigantesco Parkinson del mondo. Non pensi a lui e neanche ai tuoi genitori che sono a casa loro, in un altro quartiere troppo distante (ci mancava anche questo spavento, per tuo padre, malato di cuore…). 
Non pensi a tua moglie che a quest’ora sarà  ignara in coda in tangenziale (in fondo non c’è posto migliore, durante le catastrofi naturali, che l’autostrada). No, non ti concentri su niente di importante, su nessuno che conti davvero nella tua vita, ma hai come il riflesso (condizionato) di uscire all’aperto e quel che ti blocca immediatamente, prima ancora che qualcosa scatti davvero dentro di te per suggerirti “corri, su, corri fuori”, quel che ti blocca è un paio di interrogativi cretini: mettersi le scarpe? prendere o non prendere il cappotto, col freddo che fa? E allora ti viene un dubbio: vuoi vedere che il mondo è quieto più o meno come sempre e forse sei tu, solo tu, che senti questa pressione, questo tremore, questo vento, questa ribellione degli oggetti, anzi sei tu che fai tremare la stanza, è dentro di te questa specie di motore a scoppio che rimbomba nel vuoto, facendo muovere il lampadario (fino a poco fa ti sembrava che il lampadario si muovesse sopra la tua testa), facendo cadere una sedia, gonfiare i mobili, piegare i muri? Allora ti alzi con calma, ti guardi intorno, sollevi la sedia caduta, guardi l’orologio. Pensavi che fosse più tardi, invece sono passati solo otto secondi.


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