Quello Stop di Monti alla Merkel

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Quando mercoledì alle 12 meno un quarto Mario Monti è arrivato alla Cancelleria di Berlino, probabilmente sapeva che Angela Merkel veniva da una serata di lavoro il giorno prima. Alle venti di martedì la cancelliera aveva ricevuto Christine Lagarde, il direttore del Fondo monetario internazionale impegnata in un tour di capitali europee che non ha incluso Roma. 
Lagarde e Merkel ufficialmente hanno parlato del «coinvolgimento dei privati» (cioè delle loro perdite) nel problema del debito greco. Devono però aver toccato anche altri temi, perché il mattino dopo a Monti la cancelliera ha dato un consiglio che ha finito per allungare il loro incontro. Merkel ha suggerito al premier italiano di rivolgersi al Fmi per farsi dare un aiuto. Non è chiaro se abbia parlato di un programma a pieno titolo, che per l’Italia dovrebbe valere centinaia di miliardi di euro, o di una linea di credito più agile da circa 45 miliardi. È più probabile che alla Cancelleria di Berlino si sia evocata quest’ultima ipotesi. 
Quello che è certo, è che Monti ha detto no. L’Italia non ha in programma di rivolgersi all’istituzione multilaterale di Washington per farsi aiutare. I conti dell’Italia che il premier-ministro dell’Economia non ha fatto pubblicare, ma conosce bene, indicano che il debito pubblico di Roma può (quasi) stabilizzarsi nel 2012 al 121-122% del Pil e iniziare a calare in fretta dal 2013. La struttura del bilancio ormai è tale che l’Italia dall’anno prossimo non avrebbe problemi a ridurre il debito di 3% o più all’anno, anche in situazione di crescita zero: i nuovi impegni europei sarebbero rispettabili in pieno. La precondizione, ovviamente, è che non esplodano i tassi d’interesse. 
Al Fmi invece si pensa che un prestito aiuterebbe Monti a proseguire più o meno nella direzione già  scelta, ma con più credibilità . Visto da Washington, questo scenario probabilmente farebbe scendere i tassi d’interesse e rassicurerebbe la Germania, che magari a quel punto potrebbe lasciare più spazio anche agli interventi della Bce. Per l’Italia meglio questo — si pensa al Fmi — che dover chiedere soccorso dopo un fallimento del tentativo di fare da soli.
La discussione su questi temi fra Merkel e Monti è stata così accesa che alla fine i due leader si sono presentati davanti ai giornalisti con mezz’ora di ritardo. Ma non è la prima volta che un governo di Roma vive momenti del genere. Al G20 di Cannes a inizio novembre Lagarde stessa aveva offerto all’Italia una «linea di credito flessibile» da 44 miliardi, raddoppiabili a 90 dopo un anno. Il direttore (francese) del Fmi in seguito ha smentito di averlo fatto e in ogni caso il governo, allora guidato da Silvio Berlusconi, declinò l’offerta dopo aver sentito il Quirinale e la Banca d’Italia. 
Evidentemente però la pressione del Fmi e di altre cancellerie europee sull’Italia non è alla fine. In vista del prossimo G20 a Città  del Messico a inizio febbraio, i principali governi lavorano a un aumento delle risorse del Fondo. Se gli europei metteranno 200 miliardi di euro (come promettono) e mostreranno di rispondere sul serio alla crisi, gli Stati Uniti e le economie emergenti potrebbero aggiungerne altri 200.
Ma il messaggio recapitato da Merkel a Monti mercoledì a Berlino in realtà  è anche politico. Nel raccomandargli di bussare al Fmi, la cancelliera fa capire che continua a trovare indigesta l’idea degli Eurobond: preferisce agisca Lagarde da Washington che mettere a rischio il denaro dei contribuenti tedeschi. Anche il premier italiano aveva però un messaggio fra le righe per Merkel: l’Italia è andata avanti nella correzione dei conti più di quanto la Germania pensi. Per certi aspetti lo è più della Germania stessa, anche se le cifre reali del percorso di risanamento non sono state rese note dal Tesoro. Forse per non dover difendere obiettivi numerici troppo precisi, il ministero dell’Economia è riluttante a pubblicarle.
Ma i numeri ci sono e in buona parte sono incoraggianti. Il deficit del 2011 si fermerà  al 3,7%-3,8% del Pil, meglio del 3,9% previsto, e il debito sarà  al 120,5% circa. L’anno prossimo il Tesoro stima un deficit dell’1% e un debito al 121% o 122%, prima che dal 2013 inizi una discesa di almeno il 3% l’anno. Dopo le quattro manovre del 2011, le prospettive sembrano sostenibili grazie ai nuovi rapporti di forza fra il surplus di bilancio al netto degli interessi passivi e questi stessi oneri legati al debito: lì si gioca in buona parte il ritmo del risanamento. 
L’Italia ha chiuso il 2011 pagando spese per interessi per circa 75 miliardi, il 4,9% del Pil. L’anno prossimo il Tesoro prevede che la spesa per interessi salirà  al 5,8% del Pil se i tassi fino a giugno restano alti com’erano all’inizio di dicembre. In realtà  in queste ultime settimane gli interessi sui Bot e i Btp più a breve termine sono già  scesi molto e il Tesoro si prepara a emettere debito a scadenze più corte proprio per pagare di meno: una vita media del debito oggi a 7 anni gli consente (per ora) di farlo senza troppi problemi. L’avanzo primario di bilancio, al netto della spesa per interessi, salirebbe invece dal 4-5% del Pil nel 2012 al 5-6% del Pil nel 2013: più alto che nella stessa Germania.
Sono tutti numeri che il Tesoro non rende noti. Il loro significato è che quest’anno, in uno scenario di recessione, il debito potrebbe salire di uno o due punti di Pil. Dall’anno prossimo l’Italia conta di non avere difficoltà  a rispettare i vincoli di riduzione del debito a tappe forzate previsti dal «Fiscal Compact» europeo. Ma da qua al G20 in Messico a febbraio, ai suoi colleghi Monti dovrà  ripeterlo molte volte.
Federico Fubini


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