Sanità : se il tecnico taglia ma non cuce

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Se la stampa nazionale spazia tra catastrofici annunci di Borsa, l’andamento ondulatorio degli spread, i dati dell’Istat sulla produzione calante e la disoccupazione crescente, basta sfogliare la pubblicistica di settore per verificare una serie di spese aggiuntive che derivano sovente da misure parafiscali o da aumenti della partecipazione privata all’incremento di costo dei servizi pubblici per rilevare forme di lievitazione della spesa che incidono su individui e famiglie. Tra tutti i settori il più colpito appare la Sanità , non per particolare esosità  degli amministratori ma per la oggettiva tendenza alla crescita delle prestazioni che si somma negativamente con il coefficiente derivante dall’incidenza dell’influenza politica che grava su numerose scelte a scapito di una equa efficienza (vedi gare di appalto, convenzioni, dislocazione del personale, ecc.).
La presenza di un governo tecnico dovrebbe prestarsi ora a soluzioni improntate a una più alta produttività  e a minori sprechi, sia clientelari che di “governance” negativa. Da una cronaca del prezioso bollettino quindicinale Il Bisturi riportiamo un dialogo non verbalizzato tra un giornalista specialistico (Cesare Fassari) e il presidente Monti nel corso di una conferenza stampa. «Presidente, sulla previdenza siete già  intervenuti, sul lavoro state preparando nuovi provvedimenti. Pensate di intervenire anche sulla sanità ?». Il professore ha risposto con l’ormai consueto humour britannico: «Non ci avevo pensato, mi avete dato un’idea!». Resta il fatto che anche se sul tema Monti non parla, la partita sulla sanità  per il 2012 è tutt’altro che scontata e che nel prossimo triennio verranno a scadenza le misure varate tra luglio e agosto dal precedente governo. Si tratta di tagli alla spesa sanitaria di quasi 8 miliardi (per la precisione 7.950 miliardi) sul trend di fabbisogno del Ssn, variamente articolati, con un freno progressivo del 3% nel 2013 e di quasi il 5% l’anno successivo. Dunque ha poco senso parlare di sanità  indenne dalla manovra, perché se, per quanto riguarda il decreto “Salva Italia”, l’impatto a tutt’oggi è modesto, l’aggregato totale delle tre manovre (due Tremonti e una Monti) apre un futuro complessivo assai inquietante. L’intesa sul nuovo Patto per la Salute tra Stato e Regioni è ancora fortemente in bilico, tanto che già  si parla di una revisione dei Lea (Livelli essenziali di assistenza), sia pure in nome della appropriatezza, una delle tante definizioni-trabocchetto per selezionare l’offerta ai fini del contenimento della spesa. 
La gravità  della situazione economica generale apre, dunque, alla possibilità  di nuovi colpi al già  fragile bilancio sanitario che ammonta (pubblico + privato) a oltre 110 miliardi di euro (7,3% del Pil), molto inferiore rispetto agli altri Paesi europei, a partire da Francia e Germania. Le scelte tenderanno ad incidere sulle condizioni di vita e di salute di milioni di italiani. Non basta affidarsi alla oggettività  dei tecnici: se prevalessero nella discussione gli esperti dell’economia, ad esempio gli agguerriti contabili del Tesoro, la bilancia penderà  da un lato; se riusciranno a farsi sentire gli specialisti della Sanità  le ragioni della scienza medica e la priorità  della salute del paziente avranno maggiore ascolto.
Due ultime osservazioni in proposito. Nelle discussioni sarà  bene che i tecnici si sforzino di salvaguardare i servizi, senza abbandonarsi a tagli lineari indiscriminati. Meglio studiare con più intelligenza e equanimità  l’introduzione e la revisione dei ticket, tenendo conto che ben il 47% non ne paga, pur non versando in condizioni di povertà  che giustifichino l’esclusione. Secondo punto: dare spazio alla discussione politica preventiva sui criteri guida. Il Ssn è la più grande riforma introdotta dal riformismo italiano. Non lasciamone un campo di macerie in nome del risparmio.


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