Se il parroco senza fondi non aiuta gli stranieri

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A dare la notizia è Il Piccolo, il quotidiano della città , che apre citando il cartello esposto sul portone della Beata Vergine del Rosario: «A causa della scarsità  di fondi siamo in grado di aiutare solamente i nostri parrocchiani».
Quello cattolico è il culto religioso che più di ogni altro ha fatto dell’ecumenismo il proprio principio ispiratore. Che succede se ora un suo ministro adotta con i bisognosi il criterio di appartenenza? Niente, rispondono in molti, soprattutto tra coloro che ascoltano le sue parole a messa. Eppure il messaggio che arriva non è propriamente esaltante. Il sacerdote si giustifica così: «La richiesta di aiuto da parte di cittadini stranieri è cresciuta in maniera esponenziale. Chiunque, prima dà  da mangiare ai propri figli e poi, se ne ha la possibilità , apre le porte anche agli altri». Sembrerebbe una risposta ragionevole, ma i Vangeli non si sono mai ispirati alla ragionevolezza. Non è certo per la sua ragionevolezza che Gesù è una figura così carismatica anche agli occhi dei miscredenti. Non è col buon senso che sgancia gli apostoli dagli interessi meschini della vita borghese, bensì con l’amore incondizionato della sua parola, un amore spinto fino ai vertici scandalosi dell’abnegazione. Favorire i propri figli è una debolezza comprensibile, ma non è un atto cristiano, semmai allinea lo spirito della chiesa alla logica familistica e territoriale a cui siamo soliti ricorrere per difendere il nostro egoismo. D’istinto preferiamo chi ci assomiglia, ma l’insegnamento di Gesù è proprio ciò che più ci allontana dall’istinto. Amare il prossimo non viene naturale, occorre allenarsi, ma è proprio questo tipo di generosità , egalitaria e universalistica, a essere mutuata dalla società  civile nella forma della solidarietà . Anch’io faccio l’elemosina adottando un mio personale criterio di scelta — le zingarelle sì perché mi stanno simpatiche, i punkabbestia no perché mi stanno antipatici — ma non mi sfugge che il mio gesto non ha nulla a che vedere con la carità , che è una virtù di spiriti eletti, un amore indiscriminato e meravigliosamente dissipativo. L’esempio che ho sempre in mente a questo riguardo non viene dall’Epistola ai Corinzi, ma da Furore, il capolavoro di quel comunistone di John Steinbeck. Nella scena finale del romanzo la giovane Rosa Tea, che ha partorito da poco un bambino morto, segue i genitori tra le pozze e il fango di una specie di diluvio universale, finché i tre trovano riparo in un capanno occupato da un ragazzo e un vecchio in condizioni ancora più miserabili delle loro. Il vecchio sta morendo perché ha lasciato le ultime provviste al ragazzo. Sono raccoglitori di frutta, come Rosa Tea e i suoi appartengono alle migliaia di disgraziati finiti in California dagli angoli opposti degli Stati Uniti inseguendo una vita migliore. In comune non hanno altro che questo. Eppure la ragazza, aiutata dalla madre, attaccherà  al capezzolo la bocca di quel vecchio sconosciuto.


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