Teheran, la vita al tempo delle sanzioni Al gran bazar caccia alle monete d’oro
TEHERAN — Dollar, dollar, dollar. È la litania del mercato nero di via Manucherì, nel centro di Teheran. Davanti alla bottega dell’antiquario Moses Baba, che espone in vetrina tra le ceramiche persiane anche mattonelle con iscrizioni ebraiche, ci sono una sfilza di agenzie di cambio. «Non compriamo, né vendiamo», c’è scritto sulla porta di diverse botteghe. Ma sulla soglia c’è una gran folla di uomini di mezza età in giacca di pelle e con mazzette di banconote in mano. Uno di loro insegue una passante col foulard in testa che gli pare interessata, tira fuori dalla tasca un telefonino rosa e digita «18.000» per farle vedere il prezzo: vuole 18.000 rial per un dollaro. Il tasso ufficiale è di 12.260.
Lo scorso 23 gennaio, l’Unione Europea ha approvato l’embargo petrolifero contro l’Iran che entrerà in vigore il primo luglio. Le sanzioni dell’Ue arrivano in un periodo di stress economico sia per la Repubblica islamica che per l’economia globale. In Iran, a un tasso di inflazione superiore al 20%, negli ultimi tre mesi si è affiancata una profonda svalutazione del rial. Per fronteggiare la crisi ed evitare che una quantità massiccia di valuta nazionale sia rovesciata sul mercato, svalutando ulteriormente la moneta, la Banca centrale iraniana ha imposto giovedì il tasso obbligatorio di 12.260 rial per un dollaro e il governo ha proibito gli scambi a un prezzo diverso. Ma in strada e anche all’interno di alcuni uffici di cambio su via Giumurì le transazioni continuavano, ad un tasso del 50% più alto. Questo perché, se chi arrivava in aeroporto si vedeva scambiare i dollari al tasso ufficiale, invece il cittadino che voleva acquistare valuta straniera in banca per difendere il suo potere d’acquisto non la trovava a quel prezzo, e doveva quindi rivolgersi al mercato nero.
Nel grande bazar, a Sabze Meidan, la piazza delle verdure, un uomo è in piedi su una panca, la folla intorno. Un ragazzo offre «dieci imam a 53», ovvero dieci monete d’oro con la faccia dell’imam Khomeini. Nel timore che i prezzi continuino ad aumentare, i cittadini si sono messi in fila (in banca oppure al mercato informale) per cambiare in monete d’oro i rial che continuano a perdere valore.
È probabile che questa corsa a beni di rifugio come la valuta straniera e l’oro non siano una conseguenza reale delle sanzioni (ed è troppo presto per dire se avranno effetto) ma è possibile (e alcuni funzionari e l’agenzia di Stato Fars lo dicono al Corriere) che la minaccia di embargo abbia avuto un impatto emotivo sulla popolazione. Questo però non significa che l’Iran sia pronto a rinunciare al suo programma nucleare. E non è solo il governo a dirlo. Molti iraniani, sia tra chi è contrario che tra chi è favorevole alle politiche del governo, osservano che, sotto pressione esterna, questo Paese così antico, complesso e sfaccettato come i mosaici di specchi all’interno di un santuario sciita, potrebbe alla fine sentirsi più unito.
A nord di Teheran, sulla vetta del monte Tochal, dove gli abitanti della capitale vanno a sciare nel weekend, in un pomeriggio di venerdì il professore Nader, ex docente di psicologia in pensione, osserva: «L’esperienza storica insegna che gli stranieri non fanno questi gesti per il profitto della gente ma per i loro interessi, e giustamente. Lo stanno facendo per sé stessi. Ora, una cosa è se l’obiettivo dell’Europa è mettere sotto pressione il governo, e posso essere d’accordo, un’altra cosa è mettere sotto pressione la gente. Io ho figli all’estero, e ho speso un mare di soldi per comprare sterline, per me è veramente un peso», dice il professore. «La gente di questo passo finirà con l’avere crisi di nervi o entrare in depressione». Venerdì sera però il cinema Azadi (libertà ) è pieno di giovani coppie. Grande folla per la commedia «Il cavallo è un buon animale». Sul palazzone a 9 piani illuminato di blu c’è un enorme cartellone con la faccia di Asghar Farhadi, il regista di «Una separazione», nominato all’Oscar. Nel vagone di sole donne sulla metro, una signora chiede a una straniera «Cosa pensate dell’Iran?». Il volto è stanco e rassegnato ma si vede che spera che il suo Paese piaccia. Diverse ragazze salgono a bordo e tirano fuori dal chador trucchi e confezioni di calze a rete in vendita: la vettura si trasforma in un bazar in corsa.
L’obiettivo delle sanzioni è di convincere l’Iran a rinunciare all’arricchimento dell’uranio. Ma molti lo ritengono un diritto del Paese. Lo ha ribadito all’apertura della conferenza sul «Risveglio islamico» Velayati, il consigliere di politica estera della Guida suprema Ali Khamenei, sottolineandone gli scopi pacifici. In questi giorni gli ispettori dell’Agenzia atomica dell’Onu sono in Iran per verificare eventuali sviluppi militari del programma iraniano (che Stati Uniti, Israele e l’Europa temono). Velayati dichiara di non aver nulla da nascondere.
L’efficacia delle sanzioni potrebbe essere indebolita anche da maggiori importazioni dalla Cina in sostituzione delle minori importazioni dall’Ue. In più l’Europa potrebbe subire un aumento dei prezzi del petrolio legato all’assenza delle forniture iraniane, a meno che altri Paesi come l’Arabia Saudita dimostrino di poter aumentare la produzione. «Come va l’economia in Italia? Ho visto in tv che siete nei guai», osserva una truccatissima ragazza in chador all’uscita dalla conferenza del «Risveglio islamico», alla quale l’Iran ha invitato ospiti e giornalisti da tutto il Medio Oriente. I giovani di Occupy Wall Street non ci sono perché non sono islamici, «ma siamo solidali con loro», ha osservato Velayati. E alla conferenza si denuncia che l’1% degli americani detiene il 99% della ricchezza. In Iran, il generoso ma dispendioso programma di welfare del governo (che 8 mesi fa, elogiato dal Fondo monetario, ha sostituito i sussidi al consumo con sussidi diretti) offre un ombrello di protezione dalla crisi. Che però sembra sempre meno sostenibile nel lungo periodo. I giornali ufficiali e quelli vicini al governo sottolineano i problemi economici dell’Europa. Invece, giornali come Sharq (Oriente) attaccano il governo per i problemi economici del Paese, tra cui il crollo del rial, alla vigilia delle elezioni parlamentari di marzo.
Fonti diplomatiche europee a Teheran dicono al Corriere di non credere che le sanzioni convinceranno il Paese a cessare l’arricchimento dell’uranio. Esprimono invece timori per l’escalation che potrebbe portare a una guerra e per le opportunità perdute, in un Paese pronto al cambiamento e agli investimenti europei. Qui la parola «guerra» evoca il ricordo di quella contro l’Iraq degli anni 80, «siamo sopravvissuti allora, oggi siamo assai più forti», dice Mosayab Al Nouaeimi, proprietario dell’Iran Institute e di diversi quotidiani. Sul vagone delle donne, un ragazzino vende per pochi spiccioli biglietti con le poesie di Hafez. Ne scegli uno, apri la busta e dentro trovi una profezia sul tuo futuro: «Hai dei nemici ma non riusciranno nel loro scopo. Non mancare di pregare e fai la carità perché Dio ti allontani dai guai».
Related Articles
Dai referendum nasce l’altra America
Sì ai matrimoni omosessuali e all’uso «ricreativo» della marijuana
Il villaggio (privato) del Vecchio West
Un miliardario conservatore ricrea in Colorado una città di frontiera
Il patto tra Angela e Hannelore la Germania si affida a due donne
La Spd dice sì alla Grosse Koalition. La Kraft sarà vice-Merkel