Usa, lo Iowa dà  il colpo di partenza «Comitati d’azione» arbitri della gara

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DES MOINES (Iowa) — «Abbi timore di Dio, di’ la verità , fai molti soldi»: Steve Deace, popolarissimo conduttore radiofonico, bombarda quotidianamente l’elettorato conservatore col suo slogan preferito. Lo stesso, ripetuto fino all’ossessione dai microfoni della rete Who, col quale quattro anni fa aprì la strada per la vittoria a sorpresa del conservatore religioso Mike Huckabee (originale figura di governatore-pastore) nel «caucus» repubblicano dello Iowa, la consultazione che tradizionalmente apre la stagione delle primarie nell’anno delle elezioni presidenziali americane. Quest’anno, però, Steve Deace il suo messaggio lo diffonde da un’altra stazione radiofonica: quella della città  universitaria di Ames, perché alla Who il posto gli è stato soffiato da Simon Conway, un «anchor» inglese trapiantato negli Usa che ha scelto uno slogan («Riportiamo in pareggio il bilancio federale, smettiamola con la spesa pubblica, abbassiamo le tasse») ancor più in sintonia coi Tea Party, la forza emergente del fronte conservatore. In uno Stato fatto di mille villaggi sparsi nelle Grandi pianure in cui la radio conta più della tv, anche perché la gente passa molto tempo in auto, sono stati loro la «colonna sonora” di una campagna elettorale che, dice il politologo Larry Sabato, somiglia a una corsa sull’ottovolante: «Siamo partiti nel gennaio 2011 con Romney in testa e ora — dopo aver avuto diversi altri favoriti, tutti crollati lungo il percorso — l’uomo da battere è di nuovo l’ex governatore del Massachusetts». Vero, ma il naufragio dell’ultimo dei favoriti, l’ex «Speaker» della Camera Newt Gingrich, non è dipeso solo dai suoi colossali errori, dall’organizzazione caotica della sua campagna elettorale e dalle evidenti contraddizioni politiche ed etiche del personaggio. Finché qualche pastore nelle chiese inveiva contro questo moralista pluridivorziato definendolo «un bel vestito vuoto con la chiusura-lampo dei pantaloni rotta», Gingrich è rimasto in testa nei sondaggi. Poi, tre settimane fa, è iniziata una campagna a tappeto — fatta di spot televisivi e radiofonici, di centinaia di migliaia di lettere e messaggi telefonici registrati inviati ai potenziali elettori repubblicani — mirante a screditare Gingrich. E in pochi giorni i suoi consensi sono crollati. La campagna che ha demolito Gingrich formalmente non è stata organizzata da Romney, ma da «Restore Our Future», uno di quei comitati d’azione politica (Pac) ai quali una sentenza della Corte suprema dello scorso anno (basata su un’interpretazione estensiva del principio costituzionale del «free speech») ha dato piena libertà  di diffondere qualunque messaggio politico, anche denigrando i candidati. E senza limiti all’entità  dei fondi che possono ricevere dai sostenitori né l’obbligo stringente di trasparenza sull’identità  di promotori e finanziatori che, invece, grava su chi si mette in corsa per la Casa Bianca. Questo è il fenomeno destinato a influenzare più di ogni altro la campagna presidenziale del 2012 che si concluderà  il 6 novembre con la sfida tra il presidente Obama e il candidato repubblicano che la spunterà  nel «campionato» delle primarie. Grazie a «Restore Our Future», Romney non ha avuto bisogno di attaccare il suo avversario diretto. Anzi, ha addirittura criticato i messaggi negativi di questo comitato. Che, però, è pieno di suoi ex collaboratori politici e di ex colleghi in Bain Capital, il fondo da lui diretto per 15 anni. E infatti, con Romney tornato in testa anche nell’ultimo sondaggio, quello pubblicato nella notte di Capodanno dal Des Moines Register, il quotidiano locale (seguito dal radicale libertario Ron Paul che potrebbe godere anche del sostegno anomalo di elettori democratici e indipendenti «camuffati» da repubblicani, mentre Gingrich è solo quarto, superato anche dall’arciconservatore Rick Santorum, in forte recupero), «Restore Our Future» sta già  investendo pesantemente in spot trasmessi in South Carolina e Florida: i primi Stati del Sud nei quali si voterà  a fine gennaio. Una settimana dopo lo Iowa (che voterà  domani sera) toccherà , poi, al New Hampshire. Ma qui, a due passi dal suo Massachusetts, Romney gioca in casa: gli ultimi sondaggi gli attribuiscono un vantaggio di oltre venti punti percentuali sui più immediati inseguitori (Gingrich e Paul, appaiati a quota 17%). Gli altri candidati, per ora, arrancano nelle retrovie. Rick Perry, Michele Bachmann e Rick Santorum hanno puntato sull’elettorato evangelico che è imponente: quasi i due terzi dei repubblicani che domani andranno a votare in uno dei 1784 presidi elettorali del «caucus» dello Iowa appartengono alla destra religiosa. Ma pare che non abbiano saputo scegliere, favorendo, così, l’«establishment» del partito che punta su Romney: cento pastori hanno scelto la Bachmann, due celebri telepredicatori hanno incoronato Perry mentre Bob Vander Plaats, capo di «Family Leader», il più influente movimento evangelico, scommette su Santorum. Criticatissimo da un altro leader religioso che minaccia di «bruciarlo, trascinare il suo corpo per le strade con un carro, e di appenderlo, poi, sotto sull’arcata di un ponte, se non avrà  scelto il candidato giusto». Massimo Gaggi


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