Afghanistan, la sobria guerra

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Dopo aver annunciato stamane in commissione il taglio del programma F-35 (da 131 a 90 cacciabombardieri), il ministro della Difesa Di Paola ha lasciato al sottosegretario Filippo Milone il compito di rispondere a un’interrogazione dell’on. Augusto Di Stanislao (Idv) in merito alla decisione governativa di rimuovere i ‘caveat’ che finora impedivano ai nostri aerei schierati in Afghanistan di sganciare bombe.

Una risposta vaga, quella di Milone, che minimizza la portata della decisione, confermandola implicitamente. “E’ una priorità  del governo, condivisa da tutte le forze del Parlamento, quella di far sì che che i nostri militari e tutti i mezzi schierati in teatro siano forniti delle dotazioni e delle capacità  necessarie a garantire la massima sicurezza possibile al nostro personale e di quello degli afgani e di Isaf”.

“In tale ottica – prosegue la riposta – le regole d’ingaggio, peraltro comuni a tutte le forze di Isaf, sono rigorosamente commisurate all’esigenza di garantire la sicurezza del personale sotto minaccia del nemico e a prevenire ed evitare al contempo la possibilità  di danni collaterali”.

Sulla prosecuzione della presenza militare italiana in Afghanistan, emerge dalla risposta del sottosegretario Milone un dettaglio di non poco conto: “E’ intendimento del nostro Paese quello di mantenere una presenza in Afghanistan anche dopo il 2014, come conferma il recente Accordo bilaterale di cooperazione e partenariato di lungo periodo tra Italia e Afghanistan firmato il 26 gennaio scorso in occasione della visita del Presidente Karzai a Roma”.

Trattandosi di una comunicazione della Difesa è logico pensare che per “presenza” di intenda “presenza militare”. Un po’ diverso dal la nota emessa il 26 gennaio dal ministero degli Esteri, che parlava solo di “forme di sostegno non più militare dopo il ritiro nel 2014”.


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