Bisogna saper perdere

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Chi c’è stato spiega che alla riunione della segreteria, ieri, Pier Luigi Bersani ha dedicato appena il quarto d’ora finale alla sconfitta delle candidate democratiche alle primarie di Genova. Magari sarà  stato un po’ di più. Ma i guai sono molti, per il Pd, e il segretario da sempre segue la regola aurea dei dirigenti di partito di altri tempi: finché non si ha una soluzione, non si ha un problema. In realtà  il Pd di problemi ne ha molti, a Roma come a Genova, ma non è il momento di affrontare la «rifinitura» – come la chiama lui – alle regole delle primarie. Meglio sarebbe «evitare le candidature plurime» e «evitare di spaccarsi». Meglio sarebbe, questo lo dice Matteo Orfini, «avere proposte di qualità », sono quelle che convincono gli elettori. 
A quest’ultima obiezione il Pd non presta orecchio. Come se non avere proposte, prima che nomi, che possano intercettare la fiducia dei cittadini sia un problema secondario. Meno indigesto, più facile, contestare le regole. Ma sulle regole interne il segretario non può che rimandare al dopo amministrative, per evitare di portare al voto delle città  un partito dilaniato dalla discussione interna. Se ne parla dopo, anche se è lui stesso ad escludere che la «registrata» possa arrivare a bandire le candidature plurime del Pd. «Senza escludere che ci saranno casi in cui ci saranno più candidati del Pd, ma ci sono casi nei quali una preselezione di un candidato del Pd sarebbe più utile», ha detto a Youdem. L’idea alla quale il segretario lavorava fino allo scorso autunno è quella, ripetuta ieri, di «rimettere la valutazione agli organismi dirigenti perché a volte sono positive più candidature altre volte è più utile presentarne una sola». 
Ma nel frattempo è cambiato il quadro politico, è arrivato il governo Monti, ha squadernato il suo piano di riforme, e al Pd è cambiato tutto, l’agenda della politica e insieme quella interna. Ora, alle prossime amministrative, il Pd si gioca una partitona: quella della tenuta della propria scelta di appoggiare il governo tecnico e di certificare che il proprio popolo non gli volti le spalle. Sostenere candidati che non simpatizzano con Monti complica tutto, non solo le campagne elettorali. Della riforma delle primarie se ne parlerà  dopo. Forse dopo anche la legge elettorale, che disegnerà  un nuovo ordine del giorno: da come si arriverà  al voto politico fino al segretario che dovrà  guidare la competizione, con o senza primarie di coalizione (altro capitolo che resta a tutt’ora aperto).
Bersani, dunque, prende tempo e cerca di schierare il partito alla competizione delle amministrative nel miglior modo possibile. Per esempio confermando, e diversamente non potrebbe fare, l’impegno del Pd genovese a fianco del vincitore delle primarie. «È chiaro che ci sono ammaccature e tensioni, si esce da una gara dove, siccome c’erano più candidati Pd bisogna accettare risultati non conformi alle aspettative. Ora dobbiamo discutere e ricomporre le forze, trovare il programma e lavorare per vincere con Doria». E, ancora, confermando Rita Borsellino come candidata alle primarie di Palermo, benché anche lì ci sono altri candidati del Pd (addirittura lì un pezzo del Pd appoggia un candidato fuoriuscito dall’Idv). Il segretario cerca di infondere fiducia, dice di non essere preoccupato per la consultazione siciliana, dice ancora a Youdem, perché Borsellino «è una figura molto significativa per battere la destra a Palermo e dalle primarie uscirà  un candidato in grado di vincere a Palermo». 
Assai più complicata da affrontare è invece l’obiezione di fondo che arriva da dirigenti che chiedono, come ha fatto ieri Beppe Fioroni sul Messaggero, di non stringere coalizioni locali «con partiti che sono all’opposizione» del governo Monti. «Coraggio significa affermare con chiarezza, a tutti i livelli, che il Pd riformatore deve costruire un’alleanza rafforzata, direi federativa, con il Terzo Polo. È il baricentro su cui costruire l’alternativa di governo». Un’opzione che non solo cancella le primarie (il Terzo Polo non partecipa alla consultazione, né per i candidati locali né per il candidato premier). La richiesta in realtà  non vuole ‘rifinire’ o riformare le primarie, ma è di impianto congressuale: di fatto mette in discussione le fondamenta stesse del Pd. 
Ed è un’obiezione che indica anche e soprattutto una direzione per la nuova legge elettorale. Una direzione che vuole sconfessare proprio il meccanismo virtuoso che fin qui ha portato il centrosinistra – con o senza il candidato del Pd al comando – alla nuova stagione dei sindaci e del rinnovamento in molte città . Una stagione che invece, interpretata, potrebbe spingere il rinnovamento alle prossime politiche.


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