Con molti se e molti ma

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Gran Bretagna e Repubblica Ceca non hanno firmato il testo del nuovo trattato internazionale sul bilancio voluto a tutti i costi dalla Germania di Angela Merkel. La Polonia, reticente, alla fine ha accettato, dopo che è stato garantito ai paesi non-euro di poter partecipare ad almeno uno dei tre vertici annuali dell’eurozona. 

Tra i 25 che hanno approvato il nuovo testo in via di principio e che ora devono ratificarlo almeno in dodici perché entri in vigore per cinque anni, con l’obiettivo di integrarlo poi nei trattati dell’Unione europea, la mancanza di entusiasmo è palese. «Inutile e dannoso» per Erkki Tuomioja, responsabile degli esteri finlandese. «Inutile» per il gruppo socialdemocratico del Parlamento europeo. Irritazione contenuta della Commissione, considerando che la materia del trattato è di fatto già  coperta dalla legislazione europea esistente. La Svezia recalcitra a sottoscrivere la parte, modesta, dedicata alla crescita e all’occupazione. Nicolas Sarkozy ha fatto sapere che la Francia non potrà  votare la “regola aurea” dell’equilibro di bilancio prima delle presidenziali e Franà§ois Hollande, il candidato socialista all’Eliseo per ora in testa nei sondaggi, ha già  comunicato la volontà  di rinegoziare il testo, se verrà  eletto. Il Parlamento europeo deplora il ruolo limitato che gli è affidato dal nuovo trattato e Martin Schultz, il neo-presidente, lamenta che il patto «punta unilateralmente sul rigore di bilancio senza sviluppare il potenziale di crescita». 
L’Italia e la Francia si consolano con la concessione strappata a Berlino di non estendere le sanzioni automatiche contro i paesi che non rispettano le promesse di riduzione del debito, mentre hanno digerito la “multa” per gli stati che non rispetteranno il tetto dello 0,5% dei deficit strutturali. Persino l’Fmi pensa che il testo non rispetti un giusto equilibrio tra austerità  e crescita. 
Entro il 1° marzo, giorno previsto per la firma definitiva del nuovo trattato, i 27 paesi membri della Ue si sono impegnati a comunicare alla Commissione dei progetti concreti per la lotta contro il vero problema europeo: la disoccupazione, che tocca punte record per i giovani. 45 milioni di disoccupati in Europa, 23 milioni tra i 18 e i 25 anni. 15 paesi, tra cui la Francia, hanno una disoccupazione giovanile superiore alla già  tragica media Ue del 22%, otto paesi, tra cui l’Italia, sono al di là  del 30%. Alcune idee esistono, anche se restano deboli: la Commissione propone un consolidamento del debito “intelligente”, che non imponga tagli alla cieca, che non colpisca gli investimenti per l’avvenire (ricerca, scuola, energie rinnovabili) e mette sul tavolo gli 82 miliardi di aiuti regionali che restano nel cassetto; Schultz parla di eurobond per mutualizzare parte del debito (oltre il 60% del pil, parametro di Maastricht), tassa sulle transazioni finanziarie e creazione di un fondo comune per rilanciare gli investimenti produttivi. 
Ma la Germania non ha intenzione di muoversi di un millimetro fino a quando non sarà  risolta la crisi greca, che dovrebbe venire discussa di nuovo dall’Eurogruppo a metà  febbraio. La Grecia è con le spalle al muro, minacciata di venire abbandonata al default – imminente per la scadenza di 14,5 miliardi da rimborsare entro il 20 marzo – se non sarà  aumentato il potere di controllo della troika (Ue, Fmi, Bce) sull’applicazione degli impegni di risanamento presi da Atene. La Germania è stata obbligata a moderare i toni, a causa della levata di scudi sollevata in varie capitali dall’ipotesi di inviare un kommissar in Atene con poteri pressocché assoluti. La Grecia continua a negoziare con le banche private, per la cancellazione di almeno il 50% del debito e per tassi di interesse sotto il 4% per le obbligazioni che verranno date in cambio a quelle vecchie, svalutate. Un accordo è atteso per il fine settimana, dopo un mese di trattative estremamente difficili. L’accordo con le banche sbloccherebbe il secondo piano di aiuti della Ue e dell’Fmi di 130 miliardi, promesso nell’ottobre scorso. Ma questa cifra sembra già  insufficiente. Ci vorrebbero altri 15 miliardi. «Aggiungere prestiti alla Grecia non contribuirà  a ridurre l’indebitamento» ha tagliato corto Angela Merkel, assolutamente contraria. La Bce potrebbe intervenire, accettando di perdere, con le banche centrali, la metà  dei 45 miliardi di debito greco che ha in cassa. Ma anche su questo fronte c’è il nein tedesco.


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