Crimini franchisti Garzà³n assolto (tanto è già  fuori)

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In questo processo, dunque, ha prevalso un criterio diverso da quello che ha portato lo scorso 9 febbraio la stessa Corte a riconoscere Garzà³n colpevole del medesimo delitto («dettare consapevolmente una risoluzione giudiziaria ingiusta»), per aver ordinato le intercettazioni dei colloqui fra imputati e avvocati nell’ambito del macro-scandalo che coinvolge numerosi dirigenti del Partido popular accusati di corruzione. 
Nella sentenza di assoluzione pronunciata ieri, i giudici hanno scoperto l’acqua calda: in uno stato di diritto, gli atti di un magistrato ritenuti errati vengono tranquillamente annullati dalle istanze superiori e non costituiscono un delitto. Peccato che nel verdetto precedente, invece, questa elementare regola sia stata disattesa e l’ordinanza sulle intercettazioni firmata da Garzà³n (che fu in seguito annullata dal tribunale competente) sia stata trasformata in un reato. Punito con la pena di 11 anni di sospensione (già  in corso) dalle funzioni.
Se per Garzà³n quella di ieri è una vittoria, per quanto amara, per le associazioni che si battono a favore del recupero della memoria storica il bilancio è in chiaroscuro. Da un lato c’è la legittima soddisfazione per la positiva conclusione di un processo vergognoso, ma dall’altro è forte la preoccupazione per le sorti delle numerose denunce presentate per i crimini commessi fra lo scoppio della guerra civile e il 1952, che costarono la vita a più di 110 mila repubblicani gettati in fosse comuni. La sentenza del Tribunale supremo, infatti, lascia pochi margini all’azione della giustizia. 
Gli «errori» ccommessi per la Corte da Garzà³n nel voler fare luce sui massacri franchisti, riposano, in parte, sulla pretesa di applicare alla giustizia penale la logica della «giustizia riparatrice», che mira alla chiarificazione della verità  e non alla punizione dei colpevoli, ormai morti: «il diritto a conoscere la verità  storica non fa parte del processo penale», si legge nella sentenza. È una pretesa legittima, affermano i giudici, ma non è compito dei tribunali soddisfarla. 
Inoltre, secondo la Suprema corte non si può applicare il principio di imprescrittibilità  dei crimini contro l’umanità  in maniera retroattiva: la Spagna lo ha inserito nel proprio ordinamento soltanto dopo che i fatti in questione furono commessi, e nel frattempo la prescrizione è maturata. Infine, viene riconosciuta la piena vigenza della legge di amnistia del 1977, «promulgata con il consenso unanime delle forze politiche del primo parlamento democratico», sottolineando che non può spettare ai giudici il compito di abrogarla, ma solo al legislatore.
Il senso «politico» della sentenza, dunque, è una difesa dello status quo da parte del potere giudiziario: la legge di amnistia è stata parte fondamentale della transizione alla democrazia, un processo storico «esemplare» di cui «nessun giudice o tribunale può mettere in discussione la legittimità ». La battaglia civile per il recupero della memoria antifranchista dovrà  cercare altre strade.


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