Due arieti provano a sfondare il vecchio salotto Mediobanca
MILANO – Per capire cosa sta capitando ai piani alti della finanza italiana occorre leggere le dichiarazioni di Palladio e Sator in controluce. «Siamo qui con l’8% e siamo pronti a sostenere la ricapitalizzazione della Fondiaria Sai», dicono i comunicati stampa. Una mossa che all’apparenza non sembra ostile, anzi, si sposa alla meraviglia con le indicazioni dell’Isvap che ha imposto un nuovo aumento di capitale alla compagnia di assicurazione. Ma nello stesso tempo la mossa di Roberto Meneguzzo e Matteo Arpe infila un cuneo fastidioso nell’operazione congegnata da Mediobanca e Unicredit e che ruota intorno all’Unipol. Affermando apertamente che esiste qualcuno disposto a mettere soldi freschi in Fonsai per seguire l’aumento, si sgretola automaticamente lo spauracchio del fallimento della compagnia e del suo salvataggio obbligato su cui Mediobanca e Unipol hanno finora fatto leva per convincere il mondo esterno della bontà della loro operazione. Se Unipol non dovesse intervenire, infatti, l’aumento di capitale Fonsai potrebbe andare avanti lo stesso con il supporto di Palladio, Sator (200 milioni a testa di disponibilità liquide) e magari molti altri investitori interessati a entrare a prezzi convenienti.
In secondo luogo, l’aumento di Fonsai è stato fissato a 1,1 miliardi perché Unipol e Mediobanca pensano di fonderci dentro anche Premafin, che si porta appresso 340 milioni di debiti. Nella sostanza la fusione di Premafin in Fonsai si configura come un “leverage” che verrebbe pagato dagli azionisti di minoranza della compagnia chiamati a sottoscrivere un aumento più elevato del dovuto.
Terza considerazione, ora per la Consob sarà ancora più difficile concedere a Unipol-Premafin l’esenzione dall’Opa a cascata su Fonsai. Se vi sarà , come previsto, un cambio di controllo in Premafin addirittura a premio, perché esentare il lancio di un’Opa su una controllata che ha la fila degli investitori fuori dalla porta pronti a immettere risorse fresche? Insomma il teorema del salvataggio di ultima istanza con gli assicurati in balia dei marosi e i creditori in fibrillazione fa acqua da tutte le parti.
A questo punto resta da capire quale altra molla abbia spinto Meneguzzo e Arpe a muoversi contro l’establishment finanziario che oggi ruota intorno a Mediobanca e Unicredit. Una prima motivazione farebbe riferimento alle voci di un inasprimento dei rapporti tra l’ad di Mediobanca Alberto Nagel e il numero uno di Generali Giovanni Perissinotto. Il motivo del contendere sarebbe l’alleanza con il ceco Petr Kellner, fortemente sponsorizzata dal manager di Trieste e considerata foriera di problemi da piazzetta Cuccia. Se Perissinotto sentisse la sua sedia traballare allora si capirebbe meglio l’incursione di Meneguzzo in Fonsai, considerati gli ottimi rapporti tra i due. Una seconda spiegazione porta addirittura a Roma dove fonti ben informate dicono che Arpe e Meneguzzo avrebbero trovato una sponda governativa in Corrado Passera, il potente ministro che da ex banchiere di Intesa Sanpaolo si è sempre trovato su posizioni opposte a quelle di Mediobanca. Non è dato di sapere, al momento, il pensiero del premier Mario Monti ma il viaggio a Roma dei vertici della merchant bank milanese di ieri fa pensare che qualcosa bolla in pentola. Terzo motivo, ma non meno importante, ha come oggetto il portafoglio partecipazioni di Fonsai. Conquistando il controllo della compagnia ora dei Ligresti si staccano biglietti importanti nei consigli di Mediobanca, Rcs, Pirelli e Gemina, cioè il cuore della finanza italiana. Quali potrebbero essere le conseguenze di un ingresso di Palladio e Sator in questi cda? Semplicemente facili da immaginare.
Related Articles
Se sciopera anche Chrysler
MARCHIONNE. Una percentuale di quasi il 99 per cento suona male in Europa, figuriamoci in America. Ma è così che gli operai di una fabbrica di motori Chrysler a Dundee si sono espressi quando il sindacato Uaw gli ha chiesto: volete scioperare o accettate il cambiamento dei turni di lavoro? Sciopero, sarebbe il primo per Sergio Marchionne al volante della Chrysler. E insieme la fine della sua luna di miele anche in America.
I giudici alla Fiat: la Fiom torni in Magneti Marelli
È la terza sentenza che dà ragione alla Fiom e condanna la Fiat per attività antisindacale. Dopo la Fabbrica Italia di Pomigliano, e la Magneti Marelli di Bologna ieri è toccato ai delegati di quella presente a Caivano vedersi riconosciuto il diritto di svolgere attività sindacale all’interno dello stabilimento.
Scandalo Barclays, si dimette il presidente