Esordio difficile per Xi il prossimo numero uno
Il vice premier cinese Xi Jinping ha iniziato il suo primo grande tour degli Stati uniti dove oggi incontrerà per la prima volta alla Casa bianca Barack Obama. Il momento non è dei più favorevoli, per più di una ragione. Arrivare nel bel mezzo di una campagna elettorale come quella americana espone al rischio di diventarne parte, e per di più in un ruolo scomodo, visto che i rapporti con la Cina sono agli occhi degli americani e dei loro politici questione assai spinosa, per i loro risvolti sia interni che internazionali, e l’antipatia per Pechino è evidente, sia tra i repubblicani che tra i democratici.
Un’ardua prova attende dunque Xi, futuro capo dei capi dei vertici cinesi, destinato, tra il prossimo autunno e la primavera del 2013, se qualche terremoto non sconvolgerà il meccanismo di successione prestabilito, a rimpiazzare Hu Jintao, prima come segretario del Pcc e poi come presidente e capo della Commissione militare centrale.
La visita è importante, perché l’incontro con l’amico-nemico più potente è il primo grande test di politica internazionale che Xi deve affrontare, e per certi aspetti lo scrutinio sarà ancora più severo in patria, dove dovrà dimostrare di non essere troppo prono agli Usa. I rapporti tra le due sponde del Pacifico attraversano di nuovo un momento travagliato segnato dalla «mancanza di fiducia», come ha detto il vice ministro degli esteri Cui Tiankai in un discorso tenuto lunedì scorso in occasione del 40esimo anniversario del Comunicato di Shanghai, firmato da Richard Nixon durante la prima visita di un presidente Usa in Cina. Xi Jinping dovrebbe cominciare a ristabilire questa fiducia ma viaggia sul filo di un rasoio.
Il futuro leader porta con sé un tratto biografico non comune per un capo cinese: aver soggiornato negli Usa per alcuni mesi. Nel 1985 come funzionario incaricato di osservare lo sviluppo agricolo americano fu spedito in Iowa, dove farà un nostalgico ritorno nel corso della visita, che durerà una settimana. Inoltre ha anche una figlia che studia a Harvard. Ma tutto questo non gli procurerà sconti da un establishment Usa inacidito dalla competizione elettorale. Nessuno si aspetta risultati concreti dal viaggio, anche per la statura ancora da numero 2 di Xi, che dovrà soprattutto presentare il proprio biglietto da visita e lasciare un’impressione positiva, per quanto vaga sia la sostanza dell’aggettivo.
A mo’ di auto-presentazione prima del viaggio, Xi Jinping ha risposto alle domande del Washington Post: una difesa decisa della politica attuale, in nome del «mutuo beneficio» perché, checché se ne dica, in 10 anni l’export Usa verso la Cina «è aumentato del 468%, creando 3 milioni di posti di lavoro» e «i consumatori Usa hanno risparmiato 600 miliardi di dollari grazie alle merci cinesi a buon mercato». Ma, riconoscendo come inevitabili le frizioni quando i rapporti sono di questa portata , Xi ha auspicato che le divergenze siano affrontate in modo coordinato, basato su «uguaglianza, mutuo beneficio, con reciproca comprensione e accordo». Alla versione di Xi Washington contrappone tutti i vecchi contenziosi, dal raddrizzamento dello squilibrio commerciale alla rivalutazione dello yuan passando per i sussidi che sostengono le imprese di stato cinesi. Altrettanto lungo il cahier de doléances in politica estera: l’Iran, i nuovi conflitti nel mar della Cina, la Corea del Nord, fino all’ultimo: il veto posto all’Onu dalla Cina sulla Siria. Morso ai polpacci dai repubblicani, Obama nell’ultimo discorso sullo stato dell’unione si è anche lanciato in una dura critica al modello economico cinese. Insomma, casca il mondo ma anche la nuova leadership cinese dovrà vedersela con i vecchi problemi.
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