Esplode la protesta ad Atene Due ore di scontri, paese paralizzato

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Quattro botti secchi, in rapida successione. Dal fondo di piazza Syntagma, davanti al Parlamento, si alzano subito piccole nubi biancastre. L’odore è inconfondibile. Acre, ti afferra alla gola, gli occhi che sembrano bruciare. I botti continuano mentre la folla, imponente e compatta, inizia a sbandare. Un urlo cupo, quasi il barrito di un elefante, echeggia nel vuoto e rimbalza sulle facciate dei palazzi lussuosi che ospitano banche, società  finanziarie, ministeri, il fastoso hotel Gran Bretagna. E’ il grido della gente carico di rabbia e di disperazione. Qualcuno ha forzato il blocco della polizia che ha schierato migliaia di agenti.

Provocatori, ragazzi e ragazze della galassia anarchica. Forse.

Anche se tutto lascia pensare che sia opera delle stesse forze dell’ordine. E’ come un segnale.

Spuntano caschi e mazze, ma anche maschere antigas, occhiali trasparenti. Centinaia di persone, uomini, donne, molti anche anziani, i capelli imbiancati dagli anni, si coprono la testa e si nascondo il volto. Fuggono. Ma solo per qualche metro. Poi fanno quadrato: si stringono con le braccia, formano un cordone che sembra cemento. Resistono alle prime cariche, mentre alle loro spalle altre centinaia di persone lanciano una selva di sassi, bastoni, pezzi di marmo strappati a colpi di martello dai rivestimenti dei palazzi. Le quadre di poliziotti non si muovono. Conoscono la tattica. Anni di scontri li hanno resi veri professionisti della contro guerriglia.

Raffiche di oggetti continuano a colpire caschi e scudi. La folla avanza e poi indietreggia. Urla, lancia slogan. Volano insulti, bestemmie e poi ancora altri sassi. I lacrimogeni continuano a cadere dal cielo assieme a bombe assordanti e luminose.

Resistere è impossibile. Ma soprattutto è un’assurdità . Questa è una manifestazione pacifica. Doveva esserlo. Gli organizzatori erano stati chiari. Nessuna provocazione, niente violenze. Due mesi fa, i gruppi di autonomi e anarchici erano stati caricati dagli stessi manifestanti e isolati dalla manifestazione. Una chiara reazione alle guerriglie che da due anni incendiano la città  senza alcun risultato. Ma questa volta è diverso: la rabbia per le misure che gli inviati delle troika europea (Fmi, Bce, Ue) hanno ottenuto dal governo di Lucas Papademos ha contagiato milioni di cittadini greci. Gli stessi che adesso sono qui, raccolti in questa piazza, davanti al Palazzo dove, domenica sera, si riunirà  il Parlamento per l’approvazione ufficiale della bozza concordata. Sono indignati. Per il prezzo che dovranno pagare e per il fallimento di una protesta che dovrà  continuare.

Oggi e ancora domani. Fino al grande assedio di domenica sera quando si deciderà  il futuro del paese. Due giorni di sciopero indetti dalle grandi centrali sindacali dei dipendenti pubblici e privati assumono i contorni di un incubo che nessuno ha voglia di affrontare. I militanti del Partito comunista restano lontani.

Hanno organizzato un concentramento diverso. Qui, in questa piazza, sono presenti i militanti gli avversari del Gsee e di Adeby.

La polizia ha ordini precisi: davanti ai primi incidenti la manifestazione va sciolta. E lo fa con tecniche da manuale. Nessun fronte compatto ma piccole squadre che si possono muovere veloci e snelle. Irrompono dai vicoli che circondano le due grandi arterie del centro e spezzano in tanti blocchi il corteo dei manifestanti.

Gli striscioni che punteggiavano Syntagma sono scomparsi.

Abbandonati a terra nella serie di fughe che travolgono un po’ tutti. Nelle mani spuntano i manici delle piccozze. Non servono a difendersi dalle cariche degli agenti, duri e decisi. Servono a colpire, assieme a piccole mazze spuntate dai pantaloni e dai giacconi di decine di persone, i rivestimenti in marmo delle facciate dei centri commerciali e dei negozi di lusso.

Gli esercenti della City si sono da tempo organizzati. A difesa delle loro vetrine, colme di oggetti di un lusso che pochi si possono permettere, hanno installato delle serrande blindate. Sono state abbassate da tempo. Nessuno si accanisce contro quei muri di accaio che decine di cortei hanno tappezzato di scritte e simboli.

Nelle scorribande, fatte da fughe e nuovi assalti, si cercano soprattutto sassi. E il marmo, come mi fa notare un collega di una tv nazionale, una volta crollato a terra e frantumato in piccoli pezzi, è il materiale perfetto da lanciare contro le divise verdie blu. Per ore questi poliziotti, uno stipendio che non arriva a 600 euro, hanno ingoiato offese e insulti. Li abbiamo osservati da vicino. Sono rimasti immobili, senza cedere alle provocazioni. Eppure erano a meno di un metro dai cordoni minacciosi dei manifestanti. La forza dell’abitudine.

Ma sono i primi a soffrire per delle misure che colpiranno anche le loro famiglie. Una delle sigle più importanti del sindacato di categoria ha diffuso un comunicato nel quale annuncia di voler denunciare « per lesa sovranità » gli ispettori europei. Anzi: ha deciso di spiccare veri ordini di cattura. Una chiara provocazione: l’ennesima di un paese che si sente già  condannato all’esilio. O alla fame.

Gli scontri si spostano sulle strade vicine. Dopo mezz’ora piazza Syntagma è praticamente vuota.

Squadre di poliziotti premono sugli spezzoni di corteo che adesso defluiscono verso il Politecnico, ritrovo storico degli anarchici. I manifestanti reagiscono con nuovi lanci di pietre. Il fumo dei lacrimogeni spinge la folla sui lati. Spuntano le prime bottiglie incendiarie.

Larghe fiammate investono i poliziotti che si limitano a proteggersi con gli scudi di plexigas. Nuove fughe, altri assalti. La rabbia della gente si accanisce ancora sui palazzi, sulle banche, sui cassonetti della nettezza urbana, sulle fioriere, sui semafori. Due ore di battaglia. Con un risultato: quattro rappresentanti del governo si dimettono, il partito di estrema destra Laos che annuncia il suo voto contrario al pacchetto di misure, i socialisti del Pasok lacerati da polemiche e defezioni, il premier che richiama all’ordine i ribelli del suo esecutivo. «Non consentirò» tuona dal suo ufficio, «la bancarotta della Grecia». Oggi nuovo appuntamento: stessa ora, stessa piazza.


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