Euro, Il trilemma della Germania

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Tuttavia, sotto la sua leadership, la Germania ha continuato a premere per una combinazione inconsistente di ideali e politiche «per la stabilità », che invece di consolidare distruggeranno la moneta comune. Oltre a qualche deficienza sostanziale nella concezione di Maastricht, il colpo potenzialmente fatale glielo ha assestato, ironicamente, la Germania. Dopo essere stato premiato per un comportamento scorretto, oggi questo paese ha rafforzato la sua posizione in Europa con una apparente conferma delle sue convinzioni politiche errate. Ora però, a meno che la Germania non si sottragga alla trappola ingannevole del mito del marco tedesco, la strada dell’Europa potrebbe dimostrarsi una da cui si torna indietro.
L’eccezionalismo tedesco vuole che un’economia sana poggi sulla stabilità  dei prezzi e su conti dello Stato in ordine, anche se ciò esclude l’economia tedesca, che ha avuto successo grazie a una stabilità  dei prezzi relativa, ossia grazie a tassi d’inflazione tenuti inferiori a quelli dei partner commerciali. Il successo del modello essenzialmente mercantilistico tedesco dipende dal comportamento differente degli altri paesi che hanno continuato a oliare la macchina dell’export tedesca, spinta con forza da incrementi di competitività  accumulatisi nel tempo. Viceversa, i paesi rimasti fedeli al 2 per cento d’inflazione stabilito dall’Ue, come Francia e in minor misura Spagna e Italia, hanno subito una massiccia erosione della competitività  in rapporto alla Germania. Il vero dato discordante dell’Ume è la Germania e qui sta la vera origine della crisi del debito. L’Europa si ritrova così di fronte comportamenti in cui un paese si avvantaggia a scapito di un altro, il cui bando sembrava un obiettivo quasi raggiunto. In Germania, il contenimento dei salari e l’austerità  fiscale hanno prodotto una stagnazione del consumo e della domanda interna. Le politiche monetarie accomodanti della Bce si sono dimostrate insufficienti per la Germania, ma eccessive per i paesi con dinamiche dei salari e dei prezzi più energiche, dove il liberalizzato sistema bancario europeo, senza regolamentazione o supervisione comuni, ha finanziato bolle immobiliari e creato deficit eccessivi. L’àœber-competitività  tedesca, conseguita con la disinflazione salariale e non con incrementi della produttività , ha portato i partner alla bancarotta.
Non aiuta negare la causa ultima del tracollo dell’euro: il rinnegamento da parte della Germania della regola d’oro di un’unione monetaria, vale a dire, l’impegno a un tasso d’inflazione comune, quel 2 per cento che l’Unione si è prefissato. La Francia ci sarebbe quasi, l’Italia e la Spagna rischiano una leggera disinflazione, mentre la Germania deve creare inflazione e sta costringendo l’Europa a convergere sul suo nuovo basso standard. Anche la Francia rischia ora la deflazione del debito, per non menzionare gli altri o la Grecia che diventa quasi un capitolo marginale. 
Sostituendo l’attività  creditizia con trasferimenti, l’unione fiscale potrebbe consolidare l’euro in tempi brevi, mentre la liquidità  della Bce non riuscirà  a cancellare gli squilibri nella competitività  e i relativi flussi del debito, nonostante un ingiusto accumulo di debito nel bilancio dell’ eurosistema. Ecco qui il trilemma dell’euro: la Germania non può volere tutte e tre le cose – surplus dell’export permanenti, un’unione monetaria che non preveda trasferimenti o salvataggi e una Banca centrale indipendente. 
* Professore di economia allo Skidmore College, New York. 
Traduzione di Guiomar Parada


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