Fuoco dalla nave italiana Uccisi 2 pescatori indiani

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I rapporti fra India e Italia sono diventati di colpo incandescenti a causa dell’uccisione di due marinai indiani, la cui morte viene attribuita agli spari dei fucilieri della Marina italiana imbarcati su una petroliera allo scopo di fronteggiare eventuali arrembaggi dei pirati.
L’episodio risale al pomeriggio di mercoledì, le 14 e 30 in India, mezzogiorno in Italia. La petroliera Enrica Lexiedella flotta napoletana Fratelli D’Amato stava solcando le acque dell’Oceano Indiano a 30 miglia dalla costa del Kerala, Stato dell’India sud-occidentale. 
A bordo, vigilavano 6 marò del reggimento San Marco, i quali sono stati messi in allarme da un peschereccio, il Saint Anthony, che si dirigeva verso la petroliera con atteggiamento aggressivo, «chiaramente ostile, tipico dei pirati». Coi binocoli, i militari italiani hanno individuato sull’imbarcazione uomini armati. Per indurli ad allontanarsi hanno messo in azione segnali luminosi. Ma l’imbarcazione continuava ad avanzare. Allora dalla petroliera sono stati esplosi i primi «warning shots», colpi intimidatori sparati in aria. 
Soltanto dopo la terza raffica di avvertimento, il peschereccio ha virato allontanandosi, «senza evidenti danni a bordo». Invece i danni c’erano perché l’imbarcazione indiana si è diretta verso la costa, dove la polizia ha verificato che a bordo 2 degli 11 marinai erano stati uccisi, il timoniere e l’uomo di guardia in coperta, Ajesh Binki di 25 anni e Jalastein di 45, entrambi di nazionalità  indiana.
La guardia costiera pensa a un tragico equivoco, nel senso che i militari italiani hanno scambiato i pescatori per pericolosi pirati, uccidendoli. Gli uomini del San Marco invece raccontano di non aver mai puntato le armi contro il peschereccio e sostengono una versione del tutto diversa. Secondo loro i pirati hanno aggredito i pescatori, ne hanno uccisi 2 allo scopo di impossessarsi dell’imbarcazione con la quale tentare un abbordaggio della petroliera.
Il cargo italiano si trova ora nel porto di Kochi, nel Kerala, dove il comandante ha deciso di dirigersi dopo aver ricevuto dalla guardia costiera un messaggio in cui si diceva che a bordo del peschereccio erano state trovate armi, avvalorando così la tesi dell’assalto dei pirati. Invece, quando la petroliera è arrivata in porto, l’equipaggio si è sentito dire che armi non ce n’erano. 
Insomma, si sarebbe trattato di una trappola per attirare la nave che solcava acque internazionali e gli inquirenti indiani non avevano perciò alcun diritto di perseguire l’equipaggio, che ora viene interrogato per fare chiarezza sulla tragica vicenda.
L’ambasciatore italiano a New Delhi Giacomo Sanfelice di Monteforte è stato convocato dalle autorità  indiane che hanno protestato per l’accaduto. Il diplomatico ha ribadito che i marò del San Marco si sono comportati in modo corretto lanciando i segnali di avvertimento e ha aggiunto: «Stiamo lavorando insieme coi responsabili indiani per capire tutti i dettagli del triste episodio».
La presenza a bordo delle navi mercantili italiane di militari o di contractor, agenti privati, è stata decisa l’estate scorsa per cercare di debellare le bande di pirati marini. La Marina militare ha addestrato per questo scopo particolare 60 uomini del reggimento San Marco che, divisi in 10 team di 6 specialisti ciascuno, s’imbarcano nei porti di Gibuti, Oman o altre località  segnalate dagli armatori che ne richiedono l’intervento a bordo dei cargo che seguono le rotte più a rischio, lungo le coste somale, nel Golfo di Aden, nell’Oceano Indiano. Siccome il fenomeno della pirateria è sempre più aggressivo, la Marina sta preparando altri gruppi di fucilieri. Le compagnie navali che li utilizzano pagano 500 euro al giorno per ogni militare, somme utilizzate per l’addestramento.


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