I 15 al lavoro per limare il niet della Russia

by Editore | 3 Febbraio 2012 8:40

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Intensi negoziati fra i quindici membri del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite che mercoledì hanno avviato il dibattito su una bozza di risoluzione sulla crisi siriana presentata dalla Lega araba e dal Qatar, e sponsorizzata dall’occidente (era intervenuta di persona il segretario di sato Usa Hillary Clinton a sostenerla) ma contrastata dalla Russia che, dopo il caso Libia, ha minacciato l’uso del veto. Ieri nei corridoi del Palazzo di vetro newyorkese circolava una nuova versione della bozza di risoluzione arabo-occidentale, messa a punto dal Marocco. Il documento annacqua alcuni dei passaggi-chiave della precedente versione, considerati «inaccettabili» dalla Russia. Soprattutto il punto che chiedeva-imponeva ad Assad di dimettersi immediatamente in favore del suo vice, Farouk al Sharaa, che avrebbe dovuto formare un governo di unità  nazionale con l’opposizione per fermare la spirale di violenze e traghettare il paese verso «la democrazia». Un punto che per Mosca costituiva – e con ragione – il via libera a un (altro) «regime change». Il testo rivisto in sostanza elimina i punti definiti «inaccettabili» dalla Russia e, oltre al riferimento al cambio di regime, è stato cancellato anche quello al flusso di armi verso la Siria (Mosca è il tradizionale rifornitori di armamenti al suo alleato siriano). Inoltre, altro punto qualificante, nel testo non compare nemmeno più il paragrafo riguardante la possibilità  di adottare «ulteriori» e non specificate misure in caso le autorità  di Damasco non rispettino i termini della risoluzione. 
Secondo fonti diplomatiche al Palazzo di vetro, i paesi occidentali, una volta sventato il rischio del veto russo, sarebbero disposti ad andare al voto sul nuovo testo, a condizione che Mosca si esprima a favore e non si limiti ad astenersi, come fu per la risoluzione 1973 del marzo scorso sulla Libia che diede di fatto il via libera alla «guerra umanitaria» della Nato contro Gheddafi. L’ambasciatore Usa all’Onu, Susan Rice, sprizzava ottimismo: le discussioni sulla bozza andavano avanti in modo «costruttivo» fra i diversi membri del Consiglio che «si erano rimboccati le maniche» per superare o limare le differenze. Anche l’ambasciatore russo al Palazzo di vetro, Vitaly Churkin, parlava di «progressi» dopo che era divenuto chiaro cosa bisognasse fare «per raggiungere un consenso». In Siria la situazione è sempre molto confusa. L’opposizione denuncia ogni giorno decine se non centinaia di vittime della repressione governativa. Ieri era l’anniversario del massacro di Hama, quando Hafez Assad, il padre dell’attuale presidente Basher e iniziatore della dinastia, stroncò una ribellione islamista nella città  al prezzo (forse) di 10000 morti. Il computo dei morti per mano del regime da parte dell’opposizione cresce a dismisura, ora sarebbero 7000 ma l’Onu ha cessato il macabro conteggio dopo aver dato la cifra di 5400 in gennaio proprio perché queste cifre sono inverificabili. Il governo a sua volta parla di 2000 fra soldati e membri delle forze di sicurezza abbattuti da «bande armate e terroristi».

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