India, i marò non furono i soli a sparare vicino agli italiani attaccata una nave greca

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Non c’era solo la Enrica Lexie dell’armatore Fratelli D’Amato a vedersela coi pirati, mercoledì scorso tra le onde dell’Oceano indiano davanti alle coste del Kerala. Poche ore più tardi rispetto a quando i marò giurano di avere respinto un assalto alla Enrica Lexie, un petroliera simile a quella italiana è stata attaccata ed è riuscita a cavarsela mettendo in fuga gli aggressori: era «due miglia e mezzo a Sud dell’ormeggio di Kochi», dove la nave italiana è poi stata indotta a rientrare con un mezzo inganno.

La testimonianza della nave greca, la “Olympic Flair”, è ufficiale: la registra l’Icc-Css, il Dipartimento crimini commerciali della Camera di commercio internazionale specializzato nel tracciare tutti gli attacchi di pirateria denunciati nel mondo. La tesi indiana secondo cui quell’area non è affatto infestata dai pirati, più volte ribadita per appesantire l’accusa verso i soldati italiani, semplicemente non regge. Non è una postilla di poco conto: vuol dire che i pirati quel giorno erano lì e hanno attaccato navi mercantili. Dal primo giorno, i marinai del Battaglione San Marco e il comandante della nave assicurano che dalla Enrica Lexie sono partiti in tutto venti colpi, diretti in mare per avvertimento. Le autorità  indiane hanno un elemento indiscutibile e tragico da cui partire: i corpi di Valentine Jalastine e di Ajeesh Pinku, i due poveri pescatori crivellati da quattro colpi. Ma la tesi del governo italiano, del nucleo anti pirateria del Battaglione San Marco che proteggeva la nave, e dell’equipaggio del mercantile è una soltanto: Valentine e Ajeesh sono stati uccisi da qualcun altro.
Il traffico merci davanti al porto di Kochi, nel tardo pomeriggio di mercoledì scorso, a quanto pare era vivace. Lo testimonia il modo stesso in cui in cui la nave italiana è stata «convinta» a rientrare in acque territoriali indiane e a ficcarsi davvero nei guai, entrando in un difficile conflitto di competenze su chi debba giudicare i crimini di cui sono accusati i due giovani militari pugliesi. Lo racconta il sistema di tracciamento elettronico “Ais”: alle 18.20 ora locale, ricevuto l’allarme dei pescatori rientrati precipitosamente in porto con i corpi dei due colleghi uccisi, la guardia costiera indiana rileva nell’area la presenza di 4 imbarcazioni in movimento compatibili con il racconto dei superstiti. Oltre alla Enrica Lexie ci sono la petroliera gemella “Kamome Victoria”, la nave cisterna italiana “Giovanni” e la “Ocean Breeze”.
Se i pescatori indiani avessero segnato il nome della nave che ha crivellato il loro peschereccio, il gioco per la guardia costiera sarebbe fatto. Invece gli indiani sono costretti a tendere un tranello. Li chiamano uno per uno alla radio, e li tranquillizzano: «Abbiamo trovato un peschereccio con armi a bordo, avete per caso subito un attacco?». Rispondono tutti di non saperne nulla, tranne la Enrica Lexie che conferma; e non ha alcuna difficoltà  ad assecondare la guardia costiera quando le autorità  indiane chiedono loro «per favore» di rientrare in porto per sporgere denuncia, aiutandoli a riconoscere il peschereccio e i pirati.
Invece tutto va per la strada sbagliata, e tra India e Italia esplode un caso diplomatico delicatissimo e senza precedenti. Ai due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, ieri l’alto magistrato giurisdizionale di Kollam, K. P. Joy, ha confermato tre giorni di fermo da trascorrere nella foresteria della polizia a Kochi perché possa proseguire le indagini, e in tutto due settimane di fermo giudiziario in cui rimanere a disposizione, riservandosi di decidere il loro destino tra qualche giorno. Rischiano la pena di morte.
«È una situazione molto ingarbugliata. Di fatto il caso diplomatico è già  nato», sancisce il presidente della Repubblica Napolitano. E il ministro degli Esteri, Giulio Terzi: «Ci sono considerevoli divergenze giuridiche, e non credo si sia sviluppata la collaborazione fra India e Italia che sarebbe auspicabile». Il clima è pessimo. Ieri, quando i due marò sono arrivati alla Casa del magistrato di Kollam per essere interrogati, i nazionalisti indù del Bharathya Janata Party e il sindacato dei pescatori li hanno presi a ciabattate e hanno tentato di assalirli. «Volava di tutto», raccontano i testimoni. Li hanno ricacciati indietro con i bastoni di bamboo. Chiedevano l’arresto anche per il comandante della nave: «Se proveranno a liberare la petroliera siamo pronti a circondarla con i nostri pescherecci».
Il team di avvocati reclutati dall’Italia ha annunciato che farà  ricorso, ma l’India non cede di un passo. Epperò: «Se i marò hanno ucciso i due pescatori, per quale motivo non lo dimostrano? Ci vuole poco – fanno capire gli italiani – basta fare l’autopsia ai due corpi e i rilievi balistici sui proiettili nel peschereccio». Invece non lo fanno. «Hanno già  seppellito i corpi». Il Battaglione San Marco ieri lo ha scritto ufficialmente sul suo sito: «I fucilieri non hanno sparato sul peschereccio». Senza se e senza ma. A complicare tutto, gli italiani sono convinti che siano questioni di politica interna locale, con il Kerala in clima pre elettorale e la voglia di mettere in difficoltà  l'”italiana” Sonia Gandhi. Che la questione politica pesi, e molto, è lo stesso ministro Terzi a confermarlo: gliel’ha confidato addirittura il ministro degli Esteri indiano Krishna.


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