Iran, navi da guerra nel Mediterraneo la sfida degli ayatollah al mondo

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GERUSALEMME – Sono passate davanti alle coste israeliane seguite da mille occhi puntati sui monitor e sui radar le due navi iraniane che da ieri pomeriggio sono alla fonda nel porto siriano di Tartus. Per la seconda volta in meno di un anno navi da guerra degli ayatollah hanno traversato il canale di Suez e sono entrate nelle acque del Mediterraneo. Scopo ufficiale della missione partecipare al training navale della Marina siriana in base ad un accordo del 2011, la vera missione è dimostrare che a dispetto delle sanzioni internazionali, dell’isolamento diplomatico di Teheran, del rischio di un attacco preventivo contro gli impianti nucleari sospetti, gli ayatollah iraniani giocano al rialzo. Le ancore delle navi da guerra sono state calate nell’unico porto del Mediterraneo dove sono ben accette, nella Siria dilaniata dalla guerra civile, messa al bando dal mondo per la brutalità  e la ferocia della repressione del regime di Bashar Assad, “un caro amico” come dice il leader iraniano Mahmoud Ahmadinejad. 
Si vanta della sua sfida Teheran. Il cacciatorpediniere “Shahid Qandi” e la nave-appoggio “Kharg” sono stati inviati nel Mediterraneo su ordine della Guida Suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, dice il comandante della Marina della Repubblica Islamica, ammiraglio Habibollah Sayari. Le navi «portano un messaggio di pace e amicizia alle nazioni della regione e dimostrano la potenza del regime santo della Repubblica Islamica». 
Israele osserva «con estrema attenzione» la missione delle navi militari iraniane, limitandosi per ora a controllare che non «si avvicinino» alle sue coste. La spedizione è la seconda da parte della marina dell’Iran nel Mediterraneo dalla Rivoluzione islamica del 1979. La prima risale al febbraio 2011, quando alcune navi raggiunsero la Siria e tornarono poi indietro senza incidenti, ma in un clima di accesa tensione con Israele, già  fortemente inquieto per i programmi nucleari di Teheran. In quella occasione lo Stato ebraico protestò vivacemente con il Cairo – i militari avevano appena preso il controllo del potere – contro il passaggio della mini-flotta attraverso il canale di Suez, permesso mai concesso dall’Egitto all’epoca di Mubarak. 
Ieri di Iran ha parlato il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, che ha chiesto alla comunità  internazionale di aumentare le sanzioni prima che il Paese entri in una «zona di immunità » che lo renderebbe invulnerabile ad eventuali raid contro il suo programma nucleare. «Dobbiamo accelerare il ritmo di imposizione delle sanzioni», ha dichiarato Barak a Tokyo durante il suo viaggio nel sud est asiatico.
Sanzioni e preparazione militare sono per Israele due binari che corrono paralleli, se entro giugno le misure prese dalla comunità  internazionale contro l’Iran non daranno frutti visibili, le possibilità  di un attacco contro gli impianti sospetti diventano altissime. Gli Stati Uniti non vogliono trovarsi di fronte a sorprese per questo cercano un coordinamento con Israele al massimo livello. Ieri sera è arrivato il Consigliere per la sicurezza nazionale di Washington, Tom Donilon per consultazioni con funzionari israeliani con l’Iran in primo piano. 
Israele punta il dito d’accusa contro Teheran anche per l’ondata di attentati che ha colpito diversi diplomatici israeliani nel sud est asiatico. Se a Tiblisi (in Georgia) e a New Delhi (in India) le tracce lasciate dagli attentatori sono piuttosto evanescenti, a Bangkok in Thailandia ci sono le «impronte digitali» dell’Iran nel complotto che si stava organizzando contro l’ambasciata israeliana. Cinque gli arrestati finora, mentre una donna è sfuggita alla cattura. Sono tutti di origine iraniana e nella casa che avevano preso in affitto è stata rinvenuta dalla polizia tailandese una gran quantità  di esplosivo.


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