LA LINEA DEL PIAVE DELLA POLITICA

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Anzitutto con la crisi mondiale insorta non in Italia o in Europa, ma in America, alla fine del primo decennio di questo secolo. Quella crisi, trasmessa attraverso l’interdipendenza dei mercati finanziari, è esplosa in Europa con conseguenze ancor più drammatiche a causa del divario tra la stretta integrazione economica dell’Unione e la frammentazione politica dei suoi ventisette Stati. Di qui situazioni assai diverse documentate dai famosi spread, soprattutto tra la Germania e i Paesi più esposti ai debiti.
Particolarmente critica è apparsa la condizione dell’Italia, in ragione della sua importanza economica e del debito pubblico accumulato negli anni passati. Una condizione che è stata aggravata dalla colpevole inerzia del governo cullato dall’irresponsabile ottimismo del premier dell’epoca e dalla colpevole distrazione del suo ministro dell’Economia; e grottescamente drammatizzata dal pubblico scontro tra i due, fino a provocare un intervento intimativo dell’Unione europea.
A quell’intimazione il governo Berlusconi rispose finalmente con misure di emergenza, praticamente dettate da Bruxelles: quindi, anche in tal caso, passivamente subìte.
Quelle misure furono accolte malissimo dai mercati, non tanto per la loro sostanza quanto per la incredibilità  del capo del governo.
Si impose il suo ritiro. Non si ricorse però ad elezioni, che avrebbero fatto correre al Paese un rischio mortale: una pura follìa, come argomenta, contestando le critiche “democratiche” di Rossana Rossanda, Mario Pirani su Repubblica del 7 febbraio. Si ricorse a una “stranezza” che è frutto della lucidità , dell’abilità  e del coraggio di Giorgio Napolitano.
Le elezioni erano un rischio tremendo non solo a causa degli assalti speculativi, ma anche della forte probabilità  di un esito incerto, che avrebbe precipitato l’Italia in una impasse mortale. La chiamata di Monti aveva lo scopo essenziale di ricostituire una credibilità  compromessa, sottraendo un nuovo governo di indubbia competenza e onestà  ad inevitabili costi elettorali. Scommessa pienamente riuscita. Il consenso internazionale che Monti sta suscitando è dovuto certamente al merito delle sue mosse, ma anche e ancor più alla fiducia che le investe. Chi mette tra parentesi la conquista della credibilità  considerandola con sufficienza come una questione personale, non ha capito che essa, unita agli inevitabili confronti con la precedente gestione, è la ragione “politica” fondamentale del suo successo. Perché la politica è soprattutto fiducia: come quella che si deve a chi sta combattendo una battaglia sul Piave ed è ridicolo chiedergli se è di destra o di sinistra.
Ciò non significa ovviamente che non possano e non debbano essere apportate alle misure predisposte dal governo correzioni e integrazioni che rendano più efficace il perseguimento dei suoi impegni: come un più energico intervento nella tassazione delle grandi fortune e una organica mobilitazione della domanda pubblica nel campo delle infrastrutture e della ricerca.
Quanto alla Grecia e alla pervicace ostinazione punitiva di un Paese ormai allo stremo occorrerà  finalmente pronunciarsi sul significato più profondo dell’appartenenza all’Unione, se sia questione di prezzo o di valore; di costi economici o di identità  politica. Per restare al Piave, l’appartenenza di Trento e Trieste all’Italia, misurata in costi, sarebbe stata proibitiva.
Quanto, infine, ai pesanti costi che il governo Monti prescrive all’Italia, è vano opporre arroccamenti paralitici o indignazioni sterili, con discorsi fumosi o con lancio di uova marce.


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