La lunga marcia dell’economia digitale

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Per Benkler sarebbero le imprese che governano il mercato ad ostacolare l’introduzione delle nuove tecnologie con lo scopo di favorire la stabilità  e il controllo del mercato. Lo ha fatto ricordando gli ostacoli posti alla diffusione del Jukebox o del videoregistratore in tempi piຠrecenti. Proprio rispetto all’introduzione del videoregistratore ha ricordato come questa tecnologia sia stata oggetto nel 1994 di una battaglia sulla tutela del diritto d’autore e sulla quale la Corte Suprema si era pronunciata a favore del videoregistratore evidenziando la differenza tra utenti che infrangono le leggi e la tecnologia non colpevole del suo utilizzo. Per Benkler, le leggi sul diritto d’autore furono allora usate per rallentare lo sviluppo tecnologico, favorendo i rapporti di potere vigenti nel mercato. 
La cittadinanza attiva
Il giurista spiega questa posizione a partire dal «desiderio e dalla necessità » dello sviluppo tecnologico e lo fa comparando il sito Megaupload con YouTube, illustrando perché quest’ultimo sito non sia stato preso di mira dal governo statunitense con la medesima aggressività . YouTube, dice il giurista, sarebbe un modello eccessivamente riconosciuto della nuova forma di produzione introdotta dai nuovi media e suppone che una sua possibile chiusura rappresenterebbe una negazione dello sviluppo tecnologico. Megaupload, invece era un bersaglio facile. Da qui le accuse della Fbi di comportamento illegale, di violazione del copyright, tema quest’ultimo che era stato più volte sollevato per le attività  di YouTube. La scelta di colpire Megaupload è stata dettata anche da altri motivi: la facilità  con cui potevano essere confermate le accuse, cosa invece molto difficile per YouTube, che ha sempre risposte alle accuse di violazione del copyright sostenendo che non era responsabile di quanto facevano gli utenti che si connettevano al suo sito.
Tralasciando le conseguenze materiali di questo sviluppo, che devono essere assolutamente affrontate e che potrebbero essere riassunte nei suicidi e nelle condizioni di lavoro degli operai della Foxconn in Cina, quello che Benkler non ci dice ma ci fa intendere è che la ricchezza della rete si trova al centro della contraddizione interna al capitale, il quale per crescere e sopravvivere deve da una parte continuamente imporre delle barriere all’accesso delle risorse materiali e immateriali mentre dall’altra ha continuamente bisogno di nutrirsi delle forze della cooperazione sociale. L’elemento di novità  contenuto nella presa di posizione di Benkler non risiede nella tutela degli interessi economici dell’industria dei nuovi media quanto al riconoscimento di una nuova soggettività  «politica» emersa in Rete, quella cittadinanza attiva che richiede maggiore libertà  di accesso all’informazione senza infrangere le leggi sull diritto d’autore e nella tutela degli interessi delle imprese.
I custodi del monopolio
In sostanza, Benkler applaude la cittadinanza attiva in rete basta che non faccia la rivoluzione. At last but not least tutto l’intervento sottende una certa simpatia per Megaupload, vittima facile di un freno ineluttabile posto per mantenere la stabilità  del mercato. Va infatti ricordato come gia è stato fatto opportunamente in altre sedi che il sito fondato da Kim Schmitz era solo uno dei tanti attori del mercato nella rete  e che non va assolutamente confuso con un baluardo della libertà  dell’informazione martire dell’avidità  delle imprese dell’industria culturale.
I disegni di legge Sopa (Stop Online Piracy Act) e Pipa (Protect IP Act) presentati al congresso pochi giorni prima della chiusura di Megaupload, che avrebbero favorito le grandi imprese dell’industria culturale, avevano ricevuto le critiche non solo degli internauti, ma soprattutto da parte di quelle imprese che hanno fatto dell’attività  degli utenti su internet un modello di negozio come Google, Facebook o Amazon. Questa battaglia politica non vede in campo la dialettica classica tra soggetti antitetici per obiettivi e interessi, ma vede una vera e propria guerra civile la quale posta in gioco è la conquista e il mantenimento di alcune situazioni di monopolio dell’economia della rete. Talvolta la cittadinanza alla quale appella Benkler è la stessa che reclama una rete neutrale liquidando in maniera semplicistica il rapporto di forza sia nell’uso della rete che della proprietà  sia dal punto di vista materiale che immateriale. 
Le due dimensioni nell’economia della rete non possono mai essere separate, basti pensare che, sia a livello infrastrutturale che a quello applicativo, la produzione della rete si muove sempre parallelamente rispetto ai due ambiti cercando di attirare su di se gli abitanti in un vero e proprio ecosistema, si pensi ad esempio ad Apple con iTunes Store o Google con Android Market. In questa direzione vanno gli investimenti crescenti in servizi ospitati in rete che liberano l’utente da ingombranti supporti fisici affinchè la gestione dei contenuti sia completamente gestita dalle imprese che allo stesso tempo detengono parte in quantità  crescenti della produzione materiale.
In questo scenario si sta giocando una partita politica dal vago sapore imperiale. Gli Stati Uniti sono infatti impegnati principalmente su una duplice strategia: da un lato, vogliono riconquistare una piena egemonia nel mercato finanziario; dall’altra puntano a regolamentare la rete attraverso diversi dispositivi legislativi extra-governamentali per favorire lo sviluppo de «la ricchezza della rete». Il controllo politico di questa economia è assunto in maniera flessibile e differenziale da soggetti molteplici.
Tra i casi piຠrecenti quello di Twitter, che ha deciso di fare proprie le leggi degli stati-nazione, arrivando anche a ipotizzare la censura se qualcuno manda post contrari a quelle leggi. Una decisione che esemplifica il potere di influenza di queste grandi imprese nella Rete: un potere che potrebbe rendere carta straccia non solo la cittadinanza evocata da Benkler, ma quella che si è manifestata nelle lotte dall’Iran al Maghreb, passando per la Spagna, Inghilterra fino ai movimenti Occupy negli Stati Uniti. Imprese della rete e stato sono sempre più spesso uniti nel difendere lo staus quo, rilanciando la corsa ai profitti. 
Anche Facebook da pochi giorni ha presentato la richiesta di essere quotata in borsa, una mossa simile a quella che già  altre compagnie del 2.0 come Groupon, Linkedin e Zinga hanno intrapreso da tempo, ma con una notevole differenza: Facebook ha 845 millioni di utenti e sembra aggiungerne milioni ogni mese, ha un’offerta molto diversificata e un raggiungimento incomparabile grazie alle sue Open Graph e Api. Possiamo ipotizzare quindi il passaggio ad una nuova convenzione finanziaria dove è l’attività¡ relazionale ed il suo controllo ad essere oggetto della valorizzazione capitalistica, un’attività¡ redditizia che ci obbliga a riflettere su questo nuovo ordine del discorso.


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