La notte di sangue al G8 è diventata un film-shock
Non importa quante volte si siano viste le immagini dei pestaggi del G8, non importa quante cronache, interviste, ricostruzioni si siano lette, ogni volta la reazione è lo stessa, smarrimento, commozione, rabbia dolorosa e impotente per una brutalità ostinata, feroce, insensata. Anche se si tratta di un film. È successo ieri alla proiezione di Diaz, il film di Daniele Vicari, che ha concentrato l’attenzione sull’assalto alla scuola Diaz, dove nella notte del 21 luglio del 2001, 300 poliziotti irrompono nella palestra, adibita a dormitorio, colpiscono senza pietà decine di giovani inermi, salgono ai piani superiori e continuano il massacro, trascinando sul pavimento chi cerca scampo, infierendo in gruppo su un corpo già abbandonato a terra.
In una confusione di grida, rumori di colpi, pianti, insulti, Vicari ha ricostruito la violenza con immagini in movimento, angosciose, con il rosso del sangue che sporca volti, corpi, pareti, oggetti. Il film identifica alcune delle vittime, il giornalista accorso da Bologna dopo la morte di Carlo Giuliani, il vicequestore della Mobile, un vecchio militante della Cgil, due anarchici francesi responsabili delle devastazioni dei giorni precedenti, una coppia che nella Diaz aveva solo cercato un posto per dormire, un dirigente della polizia che decide e ordina l’operazione. E Alma, un’anarchica tedesca, che, dopo la violenza alla Diaz, subisce la tortura fisica e psicologica inflitta agli arrestati nella caserma di Bolzaneto, per tre giorni, isolati e senza notizie, finché il magistrato ordina la loro scarcerazione.
Sono personaggi presi dalla realtà , «ma per una richiesta espressa dalle parti offese, abbiamo cambiato i nomi», dice il produttore Domenico Procacci. Per i fatti «ci siamo basati sulle testimonianze e i resoconti dei processi», dice Daniele Vicari, che, leggendo, ha avuto l’impressione «di un progetto unico, dalla Diaz a Bolzaneto, una caserma fuori Genova, predisposta per l’occasione. L’arrivo del dirigente è nel processo. La polizia aveva bisogno di dare un segnale forte, di riequilibrare la situazione dopo la morte di Giuliani, anche con verbali falsi, come il ritrovamento di armi improprie e delle due molotov, portate nella Diaz dagli stessi agenti».
Tra i documenti c’è l’intervento del premier Berlusconi, che avvalla la versione della polizia. All’incontro stampa al Festival alcuni giornalisti stranieri chiedono del coinvolgimento dello stato italiano. «Non posso dirlo, né il film vuole rispondere alle domande. Diaz racconta i fatti accaduti, la sistematicità feroce della violenza, compiuta sotto gli occhi di tutti, c’erano i media di tutto il mondo. Ci sono state vittime di ogni paese, eppure nessuna cancelleria ha protestato, nessuna ambasciata ha chiesto notizie dei propri cittadini. Per questo parlo di un progetto unico».
Un applauso accoglie Vicari quando afferma che «il G8 di Genova riguarda tutti noi, è un elemento drammatico che cambia il rapporto con la democrazia, c’è stata una sospensione dei diritti democratici nei paesi occidentali. Non è un caso che dopo Genova si sono spenti i movimenti No Global». A proposito delle possibili reazioni della polizia Procacci ricorda il tentativo iniziale di coinvolgere Manganelli. «Gli mandai la sceneggiatura, dopo la prima sentenza del processo aveva detto: “Faremo di tutto perché la verità venga fuori”. Non ho avuto risposta. Anzi, dopo la seconda sentenza, Manganelli ha ribaltato il giudizio, parlando di presunzione di innocenza in attesa della Cassazione. Speravo di un atto di civiltà , che qualcuno chiedesse scusa. Non è successo, non succederà mai. Forse neanche il film avrà reazioni». Si saprà il 13 aprile, quando Diaz – coproduzione internazionale con un piccolo contributo del Ministero (e che nessuna tv ha ancora acquistato) – uscirà nelle sale.
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