La sbornia di Atene 2004 e l’inizio del tracollo greco

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Se Mario Monti aveva ancora dei dubbi su cosa fare della candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020 (e probabilmente non ne aveva, forse non ne ha mai avuti), è certo che le immagini di guerriglia e rivolta provenienti da Atene negli ultimi giorni devono averlo convinto definitivamente che l’unica cosa sensata da fare era non firmare le garanzie finanziarie richieste dal Comitato olimpico internazionale (Cio) e mettere una pietra tombale sul sogno a cinque cerchi che la Capitale coltiva da quasi venti anni (il primo fu Rutelli, poi Veltroni, infine Alemanno). La rabbia popolare esplosa ad Atene contro il terrificante piano di austerità  imposto dall’Europa per evitare il default della Grecia, viene da lontano e qualcosa, molto più di qualcosa, ha a che fare con le Olimpiadi che Atene ospitò nel 2004 superando la concorrenza tra le altre proprio di Roma. I giochi che tornavano a casa, più di un secolo dopo le prime Olimpiadi moderne del 1896, là  dove l’olimpismo era nato nel 776 a.c. come festa quadriennale in onore degli dei e del re Enomao. Una sbornia di felicità  e di orgoglio che nelle intenzioni degli organizzatori sarebbe dovuta costare circa 5 miliardi di euro e che alla fine, ufficialmente, ne costò 18 (non ufficialmente 21). La differenza fu finanziata col credito e mentre il paese flirtava con l’ebbrezza di vivere al di sopra delle sue possibilità , una donna bella e rampante, la signora Gianna Angelopoulos Daskalaki, presidentessa del Comitato organizzatore, una delle 50 donne più potenti del mondo secondo Forbes, prometteva al popolo greco che grazie ai giochi tutti finalmente sarebbero stati più ricchi e felici. Qualcuno in effetti si arricchì enormemente grazie al giro di affari e appalti legati alla costruzione di nuovi stadi e infrastrutture super moderne ma quelli che oggi pagano il conto di quella festa non sono gli stessi che hanno fatto fortuna allora. All’epoca, il movimento anti-olimpico greco di ispirazione anarchica e no global, calcolò che almeno tre generazioni di cittadini greci avrebbero finito per pagare i costi di Atene 2004. Una previsione fin troppo ottimista, a giudicare da quel che viene ordinato loro otto anni dopo.
Nello spiegare i perché del suo no alle Olimpiadi, Monti ha citato espressamente i rischi di uno scostamento rilevante tra preventivi e consuntivi anche in presenza di uno studio autorevole e accurato come quello che gli è stato presentato per Roma 2020. Dopo l’esperienza di Atene, Pechino stanziò un budget di 15 miliardi di euro per i giochi del 2008 che alla fine costarono più del doppio. A 5 mesi dall’inizio delle prossime Olimpiadi, Londra ha già  quasi triplicato il budget iniziale che era stato calcolato volutamente al ribasso (3,5 miliardi di euro) per indicare la fine del gigantismo e dello sperpero olimpico. Non solo, il comitato organizzatore inglese ha pensato bene di accogliere come membro onorario la signora Angelopoulos Daskalaki che di questi tempi a casa sua non è più molto popolare e dunque gira il mondo a dispensare consigli su ricchezza e felicità  a chi ha ancora voglia di ascoltarla. Non Monti per fortuna, che se ieri ha tolto il sorriso a molti atleti italiani che si erano spesi in prima persona per Roma 2020, da Totti alla Pellegrini, almeno uno l’ha fatto felice. Pietro Mennea, il mito della velocità  azzurra, uno che i conti dei cinque cerchi li ha studiati bene tanto da scriverci un libro. «Mi sento di dire grazie, grazie, grazie al presidente. Con la sua decisione, Monti ha evitato a milioni di italiani di accollarsi un onere indefinito, una cambiale spaventosa come quella che ha messo in ginocchio la Grecia. Le Olimpiadi non scadono mai, ci sarà  tempo per riprovarci. Oggi abbiamo cose più serie a cui pensare».


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