L’istruttore di tiro nel Nucleo dei «duri»

by Editore | 15 Febbraio 2012 9:21

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MILANO — Li chiamano gli «sbirri». Con tutto l’odio che può venire da chi sta tutto il giorno a staccar verbali e a macinare chilometri in bicicletta. Vigili di quartiere come l’agente Savarino, quello che non ha sparato e c’ha rimesso la vita. Loro no, gli sbirri non hanno la divisa e il cinturone bianco che stringe in vita e scivola sempre più in basso ad ogni passo. Sono l’élite della polizia locale di Milano. 
L’agente Alessandro Amigoni era uno sbirro. Lo era quando lunedì pomeriggio con la sua Beretta 84F ha sparato un proiettile calibro nove in un viale d’ingresso al Parco Lambro lasciando sul terreno gelido il corpo di Marcelo Valentino Gomez Cortes. Morto mentre scappava. Ora Amigoni è tornato ad essere un vigile d’ufficio. Lo ha fatto su consiglio del suo avvocato Gian Piero Biancolella, perché con un’accusa di omicidio volontario sulla testa è meglio lasciare ruoli operativi. Tornare dietro la scrivania. Abbandonare il «Nucleo». I colleghi del «Nucleo operativo Duomo-Centro», che continuano a chiamarsi così anche se da anni la squadra è diventata «l’Unità  operativa contro l’abusivismo commerciale e la contraffazione». La sezione dei «duri». 
Sono in 53, a guidarli quattro ufficiali, riferiscono direttamente al comandante Tullio Mastrangelo. Sono quelli che fanno il «lavoro sporco», quelli che, quando serve, sanno menare le mani, sanno reagire, sanno disarmare e, se necessario, sparare. Erano del Nucleo gli agenti che due settimane fa hanno inseguito, speronato e sparato a un’auto con tre banditi in fuga sui Navigli. Non hanno fermato i ladri ma hanno recuperato la refurtiva. 
Alessandro Amigoni, 36 anni, una moglie e un figlio di 2 anni e mezzo, vive a Cassina de’ Pecchi alle porte di Milano. A Cassina de Pecchi ha fatto il vigile, poi s’è spostato a Gorgonzola dove è diventato anche istruttore di tiro. Ha frequentato l’Accademia operativa di sicurezza della Beretta. Poi ha chiesto, grazie alla legge sulla mobilità , di entrare nel corpo dei vigili di Milano. Ci è arrivato due anni fa, prima l’ambientamento su una pattuglia a rilevare incidenti stradali, dar multe e dirigere il traffico davanti alle scuole. Poi il salto nel «Nucleo»: niente più divisa, la pistola infilata nel marsupio o dietro la schiena. Sul profilo Facebook ha foto mentre imbraccia un fucile mitragliatore Beretta Cx4 storm. Un’arma da guerra. Guerra finta, giocata con i colleghi di squadra la domenica. Si chiama soft air. Le armi sparano munizioni di plastica. Buoni contro cattivi. Cattivi contro buoni. Tutto diverso dalla realtà , da quelle regole che impongono di non avere il colpo in canna, di sparare solo di fronte a una minaccia reale, di non mirare a organi vitali.
Il cileno Gomez Cortes è stato ucciso da una pallottola che gli ha trapassato il torace da parte a parte, all’altezza del cuore. Sembra che sia stato colpito alle spalle. «Ho visto il complice con una pistola, la puntava verso di me. Non avevo scelta». La ricostruzione però non sta in piedi. Sono stati i suoi stessi colleghi, i tre agenti del Nucleo che erano in macchina con lui, a smentirlo: «Nessun arma». Ora quegli stessi colleghi chiedono di non buttare la croce, ripetono, come ha fatto il suo legale, che «Amigoni non è Rambo», che quella foto sul social network è vecchia di anni, «quando ancora Alessandro aveva i capelli». Oggi l’agente Amigoni è calvo, la corporatura è tornita dalle ore in palestra, la passione per le armi non è mai stata un mistero. 
«Un bravo ragazzo, ha sempre rispettato la disciplina, i superiori, i colleghi», ripete uno dei graduati che guida il Nucleo. «Ragazzi esaltati, poca strada e poche chiacchiere. Sono giovani, non hanno esperienza. Pensano di fare i poliziotti, ma non hanno né l’addestramento né le capacità », ribatte un vigile di lungo corso. Perché l’età  media dei ragazzi dell’anti-abusivismo è bassa, bassissima. Non supera i quarant’anni. Dalla loro però ci sono i risultati: una settantina di arresti l’anno, milioni di pezzi di merce contraffatta sequestrata, qualche spacciatore di droga che, di tanto in tanto, finisce nelle maglie. In auto, su vetture «civili» o con insegne e lampeggianti, hanno giubbotti antiproiettile e manganelli. 
«L’Unità  svolge attività  fondamentali — dice il comandante dei ghisa milanesi Tullio Mastrangelo —. Il loro ruolo non può essere messo in discussione». La stessa tesi dei sindacati dei vigili che in queste ore si sono stretti a quadrato per difendere l’integrità  del Corpo. «Se Amigoni non ha agito secondo la procedura pagherà  per quello che ha fatto. Ma non accettiamo questo gioco al massacro», ribadisce Daniele Vincini, segretario del Sulpm, il sindacato con il maggior numero di iscritti. Ma sul futuro della squadra di Amigoni pesa anche il cambio di colore politico della giunta milanese. Dopo anni di centro-destra, il sindaco Giuliano Pisapia è pronto a rivoluzionare l’organizzazione. Meno compiti di polizia, più vigilanza di prossimità , nelle strade, nei quartieri. «È morta una persona, non doveva succedere — spiega Alfredo Masucci della Cisl —. È giusto riflettere. Ma non siamo banditi, non lo siamo mai stati».

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