Monti a tempo indeterminato sulla rete. Ed è rivolta

by Editore | 3 Febbraio 2012 9:24

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«I giovani devono abituarsi all’idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita. E poi, diciamolo, che monotonia. E’ bello cambiare e accettare delle sfide». La pedagogia sociale applicata, per via di sermoni televisivi, dal professor Monti agli sfigati, ai bamboccioni, ai monotoni e a quelli che l’indimenticato Brunetta definì gli «italiani peggiori», cioè i precari, è un costume adottato dai presidenti del Consiglio sin dall’approvazione del «pacchetto Treu» il 4 giugno 1997. «Il tasso di crescita e lo sviluppo – disse l’11 settembre 1999 il premier di centro-sinistra Massimo D’Alema agli imprenditori baresi riuniti alla Fiera del Levante – devono garantire che da un’esperienza (di lavoro) temporanea si possa passare a un’altra non dare l’illusione che si possa trovare il posto fisso».
La dalemiana chiarezza progettuale trovò in Silvio Berlusconi una ben più tormentata oscillazione tra il polo «statalista» (posto fisso per tutti) e quello «liberista» (opportunità  di carriera). Nell’ultima legislatura, l’umore del tycoon brianzolo è in gran parte dipeso dalle esternazioni di Giulio Tremonti, e dalle contestazioni mosse dai marines del fronte liberista nel Pdl. «Per struttura sociale – affermò il 19 ottobre 2009 – come le nostre è il posto fisso la base su cui organizzi il tuo progetto di vita e una famiglia. La variabilità  del posto lavoro, la precarietà , a mio avviso non è un valore in sé». Berlusconi lo appoggiò, convinto: «Confermo la mia completa sintonia con Tremonti. È del tutto evidente che il posto fisso è un valore e non un disvalore». Non era però di questo avviso l’8 aprile 2008 quando sostenne: «il paradigma del posto fisso mi piacerebbe meno importanza». Alla posizione statalistica, che rispecchiava le virtù colbertiste di un ministro che sedeva accanto all’iper-liberista Sacconi, rispose coerentemente D’Alema: «È una demagogia intollerabile». Stesse parole, dal senatore Pd Pietro Ichino: «Pura demagogia». Il solido Cesare Damiano: «assicuri un lavoro stabile ai precari della scuola e della formazione». Un appello mai accolto. 
Due anni dopo, non sembra essere cambiato nulla nel Pd. «La nettezza di Monti – assicura il mite Follini, mentre l’ala veltroniana attacca a testa bassa – pone anche il Pd di fronte ad un bivio». Bersani ieri ha assicurato: «Non inchiodiamo Monti ad una battuta. Il suo pensiero, che conosco, è un po’ più articolato»: maggiori garanzie per chi non ha un «posto fisso». L’intento sarebbe lodevole, salvo il fatto che Monti considera «pernicioso» assicurare l’articolo 18 ai nuovi assunti (che per almeno il 70% sono a tempo determinato). Non che l’articolo 18 possa tutelare alcunché, visto che lo sogna solo il 21% dei «precari», come si legge tra i dati forniti ieri dalla Cgil, ma è evidente lo scambio proposto: un lavoro qualsiasi, in cambio della licenziabilità  a tutte le ore. 
E se Vendola, e tutta la sinistra, sindacale e non, respingono infastiditi le battute, qualcuno su twitter chiede una «patrimoniale per finanziare il reddito minimo». Twitter è diventato il tribunale del popolo dove si processa il paternalismo ministeriale. «Prima gli #sfigati ora #monotonia #postofisso – scrive F.B. – “clamore” suscitato e’ involontario o ricercato?». In dieci anni di sermoni sulla «fine del posto fisso» è valida la seconda ipotesi. Quella che si ascolta è stata definita da Stefano Bartezzaghi su twitter «monoritmia», anagrammando «Mario Monti» e «monotonia». Questo neologismo allude in realtà  alla «omoritmia», cioè ad un coro che canta al ritmo sempre uguale, ma con variazioni di toni. Sulla scena mediatica, come su quella del micro-blogging, spirano correnti paurose. Lo humor nero di Monti continua a suonare il tasto di una vita senza tutele né garanzie. L’opposizione reagisce pensando che, forse, la soluzione stia nel ritorno al posto fisso (1viva la monotonia»), anche se qualcuno crede in una prospettiva universale, il rifiuto di una società  costruita sul ricatto del lavoro: «Professor Monti – scrive su facebook Cayce Pollard (un nick dal romanzo di W. Gibson L’accademia dei sogni) – c’è stato un terribile malinteso: non avrà  mica capito che non vogliamo lavorare?».

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