Nove suicidi tra le sbarre: anno nuovo, stessi problemi

by Sergio Segio | 21 Febbraio 2012 14:43

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Con lui sale a 9 il conto dei detenuti che si sono suicidati dietro le sbarre dall’inizio del 2012, la maggior parte di loro sceglie di impiccarsi. Ma il bollettino di questa strage silenziosa non si ferma qui: dal primo gennaio nelle carceri italiane ci sono stati anche 5 decessi per cause naturali. In altri 23 casi gli agenti della Polizia penitenziaria sono riusciti ad intervenire appena prima che i detenuti si togliessero la vita. Per una triste coincidenza sabato scorso ha scelto di togliersi la vita, impiccandosi nel bagno di casa, anche un assistente capo della Polizia penitenziaria.
AVEVA 48 ANNI, prestava servizio nel carcere romano di Rebibbia e suonava nella banda musicale del corpo. Due giorni prima un altro agente si era sparato. Negli ultimi anni il numero dei suicidi tra i baschi azzurri ha subito un’escalation impressionante: 88 dal 2000 ad oggi, di cui 38 solo negli ultimi quattro anni. “Il nostro organico è ridotto all’osso, abbiamo 6.500 unità  in meno rispetto agli effettivi necessari” spiega Eugenio Sarno, segretario generale della Uil penitenziaria “lavoriamo in condizioni al limite della legalità ”. Poi incalza: “Senza voler strumentalizzare, ma due suicidi in meno di 48 ore non possono non essere oggetto di attenzione verso il malessere del personale, invece non vediamo atti concreti da parte di chi detiene responsabilità  politiche ed amministrative”. Le carceri italiane scoppiano, strette tra sovraffollamento, strutture fatiscenti e lentezza della macchina giudiziaria, con il 42% dei detenuti in attesa di giudizio. Le ultime statistiche del ministero della Giustizia parlano chiaro: al 31 gennaio i detenuti erano 66.973, oltre 22 mila in sovrannumero rispetto alla capienza regolamentare prevista. Numeri che aiutano a comprendere meglio perché, in un anno, circa 500 agenti penitenziari abbiano riportato ferite con diagnosi superiori ai 5 giorni a seguito di aggressioni da parte dei detenuti.
PER ALLEGGERIRE la situazione nei giorni scorsi il Parlamento ha varato il cosiddetto decreto ‘svuota carceri’ approntato dal governo Monti. Il provvedimento prevede la possibilità  che una persona fermata per reati non gravi venga trattenuta, per le prime 48 ore, agli arresti domiciliari, poi nelle celle di sicurezza delle Questure e solo come estrema ratio nei penitenziari. In sostanza interviene sul sistema delle porte girevoli, che ogni anno vede transitare in cella oltre 20 mila persone per periodi compresi tra due e cinque giorni. Un meccanismo che crea sovraffollamento. “Non è né un indulto mascherato, né una resa dello Stato alla delinquenza” ha tenuto subito a precisare il Guardasigilli Paola Severino. Contestualmente ha annunciato 11.500 nuovi posti nelle carceri.
“Questo decreto è un passo in avanti che va nella giusta direzione, ma va ripensata la politica della pena” commenta il segretario generale aggiunto del Sappe Roberto Martinelli “ad esempio per i tossicodipendenti, che sono circa il 30% della popolazione carceraria”. Secondo il Sappe “In una comunità  di recupero potrebbero essere assistiti meglio ed avrebbero maggiori possibilità  di reinserimento sociale. Il carcere non sia l’unica risposta che lo Stato da per garantire la sicurezza dei suoi cittadini”. Con l’attuale sistema della pena, lo scorso anno 61 detenuti si sono suicidati in carcere.

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