“Anche ai tempi miei e di Lama funzionava la diplomazia parallela”

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ROMA – Gli incontri riservati? «C’erano anche ai tempi miei e di Luciano Lama». La polemica sull’articolo 18? «Un falso problema». E se stesse ancora lui al tavolo delle trattative? «Nessuna concessione vera, piuttosto qualche contentino per salvare capra e cavoli». A 75 anni, Pierre Carniti, grande vecchio del sindacalismo italiano, non smentisce la sua fama di anticonformista. Il segretario della Cisl dal 1979 al 1985 non si scandalizza per la notizia riportata da Repubblica su un incontro riservato fra il presidente del Consiglio Mario Monti e il segretario della Cgil Susanna Camusso. 
«Non so se questo incontro fra Camusso e Monti ci sia stato o no, ma nel caso non mi scandalizzerei: queste cose sono sempre avvenute», dice Carniti.
Ricorda qualche episodio in particolare?
«A fine anni ‘60 stavamo trattando in Confindustria sull’abolizione delle gabbie salariali. Presidente era Costa, vice Borletti. Quest’ultimo, nelle pause della discussione, prendeva sottobraccio Luciano Lama e se lo portava a spasso per i corridoi per parlare da solo con lui. Subito dopo Lama veniva da me, preoccupatissimo che potessi prenderla a male. “Non preoccuparti – gli dissi – perché tanto sull’accordo ci dev’essere anche la mia firma. Se in questo modo riuscite a superare qualche difficoltà , meglio così”. Lama deve aver riferito la mia frase a Borletti, perché le passeggiate finirono. E poi l’accordo si fece. Sarebbe meglio evitare di fare pettegolezzi su queste cose che non contano. Anche se, a dirla tutta, mi sembra che si parli soprattutto di cose che non contano».
Come sarebbe? L’articolo 18, per esempio, è una cosa che non conta?
«Appunto. Negli ultimi 10 anni ci sono stati circa 31.000 ricorsi contro i licenziamenti individuali. Pochissimi. E negli ultimi 5 anni i casi regolati in base all’articolo 18 sono stati 310: significa una sessantina l’anno, un’inezia. E questo sarebbe un problema?».
Ma allora perché ci si sta facendo una guerra?
«Perché è una vecchia regola della politica. Lo diceva già  Machiavelli: quando ci si trova di fronte a un problema troppo complicato, se ne inventa un altro, in modo da sviare l’attenzione. Monti è molto attento ai problemi di comunicazione. Sui media è addirittura più presente di Berlusconi. Si è esposto su questioni di facciata, dalle dubbie liberalizzazioni all’articolo 18, e ora deve portare a casa qualcosa».
E come se ne esce?
«Il problema vero è che non si fidano l’uno dell’altro, e questo rende le cose più difficili. Ma siccome si parla di problemi apparenti, anche le concessioni possono essere apparenti. Per esempio, si può concordare che le cause relative all’articolo 18 devono essere risolte in un tempi più rapidi, e magari definire anche questo tempo. Oppure accordarsi per moltiplicare l’indennizzo (alternativo al reintegro) per 10 o per 20, che poi è quello che si è sempre fatto. Quasi sempre i lavoratori accettano l’indennizzo, perché le imprese sottobanco danno più di quanto le norme prevedano. Si potrebbe anche formalizzare qualcosa del genere, le imprese sarebbero contente». 
Se fosse lei a trattare, su cosa cederebbe?
«Se fossi al tavolo delle trattative, concessioni vere non ne farei. Ma qualche contentino per salvare capra e cavoli, quello si può sempre trovare. Sull’articolo 18 ho detto, ma comunque chiederei qualcosa in cambio. Che so, ridurre i tipi di contratto dagli attuali 46 a un numero ragionevole, per esempio, al massimo 8. In ogni caso, qualche miglioramento per i lavoratori vorrei assolutamente ottenerlo».


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