Questione di democrazia

by Sergio Segio | 15 Febbraio 2012 10:28

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Un sondaggio segnala che il premier in carica è ai minimi di popolarità  (l’insoddisfazione per il suo operato tocca il 91%); il partito socialista sembra aver pagato lo scotto più pesante, ridotto ad un 8%, mentre crescono i partiti radicali di
destra e di sinistra nonché, dato forse più stupefacente, quel partito conservatore cui dovrebbero essere attribuite le maggiori responsabilità  per la gestione degli ultimi anni. Come dire che, se anche le cure imposte fossero efficaci, solo una classe politica votata al suicidio potrebbe metterle in atto.
Non manca chi rimprovera l’elettorato greco di scarsa maturità  per la difficoltà  di capire che, pur dolorosa, questa è la strada del male minore. Eppure cominciamo ad avere tutti almeno qualche dubbio sulla capacità  della democrazia greca di reggere l’urto. Aggiustamenti di questa entità , variazioni così pesanti nel tenore di vita, nel nostro continente erano stati possibili solo come conseguenza di eventi tragici come le guerre. In cuor nostro sentiamo che c’è qualcosa di profondamente ingiusto nella sorte del popolo greco.
Siamo ben consapevoli dell’obiezione: bisogna onorare i propri debiti. Un’affermazione inoppugnabile sul piano astratto e morale, ma non così rispondente alla realtà  dell’economia moderna. Il ripudio dei debiti sovrani è stato un evento estremamente frequente anche nell’ultimo secolo. E non è stata forse l’introduzione del principio della responsabilità  limitata del debitore uno dei motori dell’economia capitalistica? Che dal diritto di uccidere il debitore insolvente vigente nel mondo antico, passando per la prigione per debiti, si sia arrivati al progressivo alleggerimento delle conseguenze in caso di insolvenza non è l’ennesimo esempio di buonismo, ma risponde a principi di efficienza e alla necessità  di preservare il valore dell’attività  economica. Il rischio dell’insolvenza, in un’economia di mercato, è sempre ripartito tra debitore e creditore.
Un ulteriore elemento fa riflettere. Nessuno sembra mettere in dubbio che i greci siano collettivamente responsabili, e quindi debbano sostenere le conseguenze, non solo per la qualità  della gestione pubblica ma anche per la capacità  della loro economia di generare ricchezza. Principio difficilmente contestabile, che però contraddice una certa retorica sulla globalizzazione e la fine al ruolo dello Stato nazione. Se c’è una cosa che questa crisi ha evidenziato è la centralità , anche nel contesto di più avanzata integrazione rappresentato dall’Ue, degli Stati nazionali, che restano la sede della responsabilità  politica e l’unica dimensione accettata di solidarietà  collettiva. Basta solo questo a mostrarci quanto siamo lontani dalla prospettiva di unione politica in Europa. Una delle ragioni dell’impasse europeo è che i contribuenti di un Paese non vogliono trasferire risorse ad un altro Paese che non le «merita». Insomma, niente solidarietà  oltre i confini nazionali.
Il grande storico Ernst Gellner spiegava che gli Stati nazione erano nati, agli albori del capitalismo moderno, con due funzioni: garantire l’omogeneità  di lingua e cultura necessaria all’espansione dei mercati e fornire il necessario sistema di mutualità  e assicurazione reciproca. L’idea che l’autorità  politica possa limitarsi a funzioni di polizia e garanzia di adempimento dei contratti, come vuole il liberalismo classico, è smentita da più di un secolo di sviluppo, in cui la sopravvivenza del mercato è stata garantita dall’estensione della democrazia e insieme logicamente inseparabile l’assunzione di responsabilità  collettiva rispetto ai rischi dello sviluppo economico. Qualcuno ultimamente considera tale funzione assicurativa (altresì denominata welfare state) un lusso. E chiamiamo integrazione fiscale un insieme di vincoli e sanzioni tesi ad aumentare l’isolamento reciproco tra i bilanci pubblici nazionali.
Quanto abbiamo davanti agli occhi dovrebbe insegnarci che il rigore senza solidarietà  è incompatibile con qualsiasi progetto di integrazione europea. Non vorremmo che, come già  in passato, arrivasse a mettere in crisi quel secolare compromesso tra mercato e democrazia che è alla base del nostro benessere e della nostra libertà .

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