Retata di dissidenti a Damasco L’Assemblea dell’Onu vota “Basta sangue, Assad se ne vada”

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Al telefono di Nazem Darwish, fondatore del Centro per la libertà  d’espressione a Damasco, risponde un amico: «Nazem è stato arrestato: lui, la moglie Yara e altri 11. No, non so dove li abbiano portati, quale sia il capo d’imputazione, né quando e se li rilasceranno». Questa non è la prima volta di Nazem: 36 anni, l’eterna sigaretta incollata alle labbra, il giornalista si batte da anni in Siria per i diritti umani. Già  due volte era stato fermato nel 2011: una per avere partecipato come osservatore alla prima dimostrazione del “risveglio siriano”. Assieme a Suhair al-Atassi, discendente di uno storico lignaggio di democratici siriani, chiedeva la liberazione dei prigionieri politici. La seconda per avere «diffuso notizie false ed esagerate» da Dera’a, l’epicentro della rivolta. Di nuovo libero, al Café Brésil, ritrovo di intellettuali e dissidenti, confidava a Repubblica gli interrogativi riguardo al “tavolo del dialogo” cui egli era stato convocato dal regime assieme ad altri oppositori: «Dobbiamo accelerare la transizione pacifica verso la democrazia», insisteva. Perciò lui era rimasto a Damasco a condurre la sua lotta, nonviolenta.
Con Mazen è stata arrestata la blogger americosiriana Razan Ghazzawi, nota su Twitter col nomignolo di RedRazan. I giorni scorsi aveva ingaggiato un litigio con alcuni dei più citati pensatori liberali arabi, accusandoli di «scarso impegno» nei confronti della rivolta siriana: «Dite di sostenere ‘il popolo siriano’ MA», aggiungete sempre un “MA…”», si lanciava contro chi metteva in dubbio il «massacro di Homs».
Proprio per arginare quello e altri bagni di sangue – ieri arrivano notizie di scontri a Homs, Hama e Dera’a – a Vienna si incontrano Juppé, ministro degli Esteri francese, e il suo omologo russo Lavrov. Juppé è ottimista nel prospettare un compromesso «su un obiettivo a breve scadenza: la fine dei massacri» e «l’invio di aiuti umanitari al popolo siriano». 
All’Onu dopo il pressing saudita, l’Assemblea generale vota a stragrande maggioranza (137 a 12) la risoluzione di condanna del governo siriano, e il sostegno al piano arabo che chiede un cambiamento di regime. Ban Ki-moon dice che «quasi certamente sono stati commessi crimini contro l’umanità : quartieri bombardati indiscriminatamente, ospedali usati come centri per torture, bambini incarcerati e vittime di abusi». 
La Cina intanto invia un rappresentante a Damasco e avverte: «Un intervento delle potenze esterne può scatenare un vespaio di sangue e instabilità  nella regione». A Washington il Congresso ascolta i capi dell’Intelligence: «L’opposizione siriana probabilmente è stata infiltrata da Al Qaeda», dice James Clapper, direttore della National Intelligence: l’assenza di un’opposizione unita può creare un vuoto di potere colmato dagli estremisti. Gli fa eco Dempsey, capo dello Stato maggiore: «Coloro che vogliono fomentare uno scontro fra sunniti e sciiti – e voi sapete chi sono – stanno tutti intervenendo in Siria».


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