Scatti del dolore smarrito

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Ed è sempre impressionante ripercorrere, negli obiettivi e negli scatti pre e post guerre e catastrofi (non solo l’11 settembre, preso quasi a spartiacque, ma ben altra violenza che l’ha preceduta e seguita) dei 34 fotografi che la Herschdorfer ha messo insieme in questo album, le tappe di un mondo sconvolto da avvenimenti in cui la violenza sembra aver preso il sopravvento.
Fin qui però nulla di nuovo, oltre il piacere di vere riprodotte in questo volume foto molto belle. Merito di questo libro è di aver rappresentatato gli avvenimenti in una prospettiva diversa dal fotogiornalismo che si prefigge di stupire. Qui invece si scava in modo del tutto parallelo agli avvenimenti, con calma, con la volontà  di cogliere i lati apparentemente secondari della tragedia presa in esame, per esempio di quei giorni terribili dell’11 settembre 2001 in cui il mondo sembrò precipitare verso una tragedia ben più grande dei morti sepolti sotto le macerie delle Torri Gemelle. E però, con questa prospettiva, ecco la novità  costituita da volti che posseggono lo smarrimento più intimo, sofferto, di chi prova davvero difficoltà  a dare un senso alla propria esistenza. E se il tedesco Frank Schwere, nelle sue foto della Manhattan di Ground Zero, sembra spostare il suo obiettivo fino a raggiungere emozioni del tutto surreali o astratte, dove il tempo si è fermato, e le persone sembrano non esserci più in un paesaggio dove domina un’estetica sublime delle rovine, l’argentina Paula Luttinger ritorna nei centri di detenzione delle forze armate di quel paese dove fu rinchiusa da giovane durante la dittatura militare a fotografare i particolari delle celle (muri, scale, incrostazioni, scritte) che ci restituiscono un’emozione che solo chi ha provato quella durezza può darci. Né sono da meno i ritratti dei profughi serbo-croati negli scatti dell’irlandese Ivor Prickett o l’orrore del genocidio in Rwanda nei magnifici particolari del sudafricano Pieter Hugo. Ma poi bisognerebbe nominare i viaggi dentro i ricordi di passate tragedie, come quelli di Guillaume Herbaut negli sguardi degli anziani di Hiroshima, o le espressioni di ex detenuti Usa di Taryn Simon, o ancora gli interni domestici delle case post uragano Katrina del canadese Robert Polidori.
Le opere raccolte dalla Herschdorfer, usate anche per una mostra, presentano un lato del tutto diverso di approccio alla tradizione documentaria, più «misurato, innovativo e ambivalente». E non si parla soltanto di quel vero e proprio genere che è diventato ormai l’aftermath photografy («fotografia delle conseguenze») orientato a documentare nel modo più innovativo possibile i luoghi disastrati da violenze o disastri naturali, ma con un approccio che sembra prendere dentro di sé il dolore e cercarvi i segreti più riposti in una possibile via d’uscita dalla catastrofe vissuta.


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