Sprazzo umanitario a Homs: via donne, bambini e feriti

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L’evacuazione è iniziata venerdì e ieri il portavoce della Cri, Sean Maguire, confermava che a Homs si continuava a negoziare, insieme alla Mezzaluna siriana. Un portavoce della Croce rossa a Damasco ha smentito seccamente le voci maliziose che ipotizzavano l’uso di ambulanze della Mezzaluna rossa come trappole dei governativi per arrestare gente anziché salvarla. «Non c’è assolutamente alcuna differenza fra la Croce rossa e la Mezzaluna rossa, che è il nostro principale partner nel paese e sta avendo un ruolo essenziale nell’evacuazione», ha tagliato corto il portavoce Cri.
Un’altra voce, questa volta proveniente da Beirut, afferma che i due giornalisti feriti mercoledì nell’occasione in cui furono uccisi l’americana Marie Colvin e il francese Remi Ochlil (i cui corpi non sono stati ancora portati via), hanno scelto di non partire con le prime evacuazione per consentire la partenza dei più necessitati siriani. Un gesto nobile che secondo l’agenzia statale Sana va letta all’opposto: sarebbero «le gang armate» dell’opposizione che controllano Baba Amr ad aver rifiutato di consegnare i due giornalisti feriti – la francese Edit Bouvier e il britannico Paul Conroy – al personale delle ambulanze. Come tutto il resto in questa guerra civile, a cominciare dal numero dei morti dell’una e dell’altra parte, anche questa vicenda è, per il momento, inverificabile.
Sul piano diplomatico, il fresco inviato speciale per la Siria di Onu e Lega araba, Kofi Annan, ha lanciato un appello a «tutte le parti» a cooperare per trovare una «soluzione pacifica» alla crisi. Quanto mai improbabile, a questo punto. Tanto più che fra gli «amici della Siria» che si sono ritrovati venerdì a Tunisi molti non vogliono affato una soluzione pacifica e invece arrivare all’«intervento militare» esterno.
Questa volta non tanto (o non ancora?) gli «amici» occidentali (Francia, Gran Bretagna e gli Usa, nonostante l’ira di Hillary Clinton per «lo sconfortante e spregevole» veto messo da Russia e Cina in Consiglio di sicurezza), i quali si apprestano tuttavia ad imporre a Damasco un nuovo giro di sanzioni. Ma sì le petro-monarchie del Golfo, con i sauditi in testa che vogliono armare l’opposizione e si sono ritirati dal summit di Tunisi per protesta, e anche il Consiglio nazionale siriano, che ha auspicato l’intervento militare come «unica opzione» per cacciare Assad. L’altro gruppo di opposizione, quello dell’interno e non dell’esterno, il Comitato nazionale di coordinamento per il cambiamento democratico, è invece contrario a un intervento dall’esterno (e per questo ha boicottato il summit di Tunisi), ma è il Cns ad avere i migliori «amici» sia in Occidente sia nel mondo arabo, anche se dalla conferenza non ha ottenuto il riconoscimento ufficiale a cui aspirava quale «unico legittimo rappresentante del popolo siriano» (come fu per il Cnt libico a suo tempo): per ora è stato riconosciuto solo come «una credibile voce» dell’opposizione (foto Reuters), non ancora come un governo in pectore.
Il vertice degli «amici» si è concluso così con una dichiarazione abbastanza fumosa e rivelatrice dei contrasti interni: appello a Damasco di por fine immediata alla violenza e consentire un accesso agli aiuti umanitari.


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