Svuota-carceri, la maggioranza cala a 385

by Editore | 15 Febbraio 2012 9:26

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ROMA – Il decreto Severino sulle carceri è legge. Ma la maggioranza alla Camera soffre per un intero pomeriggio, dove brillano gli assenti tra Pdl e Pd e dove aumenta, di minuto in minuto, il numero degli astenuti. Finisce con 385 voti a favore, un minimo “storico” per il governo Monti. Erano stati 420 i sì alla fiducia sullo stesso dl appena giovedì scorso. Sono 105 i no, quelli della Lega, dell’Idv, ma anche di 29 pidiellini. Si contano 26 astenuti, fra cui altri sei del Pdl. Brillano le assenze dei berlusconiani, dove l’ex premier è di nuovo lontano, assieme ad altri 42 deputati. Nomi che pesano, Verdini, Tremonti, Ghedini, Prestigiacomo, La Russa, Meloni, Mussolini, Corsaro. Se ne va Alfonso Papa, reduce da tre mesi di carcere, che fino all’ultimo è incerto se astenersi. Esce Guido Crosetto, dibattuto tra un’astensione e un voto per disciplina di maggioranza. Ma alla fine non ce la fa. Il decreto non gli piace. Racconta ai colleghi che pure nel Pd sono perplessi. Che perfino l’ex presidente della Camera Luciano Violante l’avrebbe criticato. E nel Pd, alla fine, pur se non ci sono voti contrari, il drappello degli assenti è consistente, restano fuori in 25, non ci sono Amici, Bressa, Fioroni, Turco. Pesa un no come quello dell’ex sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano: «Se il governo dice no a riferire sui primi due mesi di funzionamento del decreto vuol dire che si vuole un sì al buio per un atto di fede. Ma quelli si fanno solo per i dogmi di Santa Romana Chiesa». 
Fuori, ma per poco, protesta la Lega con uno striscione su cui è scritto «libertà  per i criminali». Dentro il Carroccio presenta oltre 50 ordini del giorno per far cadere il governo. Alla fine Nicola Molteni è il più duro: «Siete il governo della liberalizzazione dei detenuti e dei criminali. Il decreto pugnala alle spalle le persone per bene. È un indulto mascherato. Una vergogna di cui dovete chiedere scusa al Paese». 
Il Guardasigilli Severino, sola al banco del governo, impegnata a dare parere favorevole agli ordini del giorno possibili per evitare che il dissenso cresca, alla fine non riesce a parlare. Ma dichiara che non si tratta «né di un indulto mascherato, né di una resa dello Stato alla delinquenza». Nessuno lascerà  la cella per «automatismo o per presunzione, vi sarà  sempre un magistrato a valutare se la persona sia o meno meritevole». Misure che hanno dato già  un risultato, «a dicembre 1.175 persone sono finite in carcere per tre giorni, ma sono calate a gennaio a 804». Si riducono quegli oltre 21mila detenuti che entrano ed escono dalle celle solo per tre giorni. L’assunzione di responsabilità  è piena: «Mi sento più colpevole delle morti in carcere per suicidio che delle conseguenze di un decreto che dovrebbe contribuire a salvare il carcere dallo stato di degrado in cui si trova». 
Ma i distinguo sono evidenti. Tuona la voce di Antonio Di Pietro contro un «decreto criminogeno». È sofferto il sì di Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera: «Voteremo il dl senza amarlo, ma nessuno di noi si può assumere la responsabilità  di continuare a leggere lo stillicidio dei suicidi. Al ministro chiediamo una svolta epocale». Dentro Fli si contano gli assenti, Consolo, Lo Presti, Lamorte, Perina. L’Udc Roberto Rao si augura che «la giustizia diventi finalmente terreno di confronto», ma dei suoi sono fuori in quattro. 
Lo stato di allarme più difficile lo vive il Pdl. Dove il capogruppo in commissione Giustizia Enrico Costa fa un intervento problematico. Parla di «un decreto ponte verso la realizzazione delle nuove carceri messe in cantiere da Alfano quand’era Guardasigilli». Dice chiaro: «Solo in questa logica va interpretato». Critica i penitenziari dove «non lavora quasi nessuno, perché 68mila sono una barriera insormontabile». Mentre lui parla, alla chetichella, molti se ve vanno a riprova che sulla giustizia Pdl e Pd non potranno mai andare a braccetto.

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