Tesoreria unica, accordo dopo lo scontro

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ROMA — Uno scippo, «una rapina di Stato», «il ratto di Monti»: le metafore, non solo delle Lega, nelle ultime ore come negli ultimi giorni, si sono sprecate. 
Avvocati dei Comuni, delle Province, delle Regioni, pronti a fare ricorso, al giudice ordinario come alla Consulta, a diffidare la propria la banca dal versare un solo euro alla Tesoreria dello Stato. Dal Veneto alla Sicilia, dai leghisti ai dipietristi, sino a ieri pomeriggio, un solo coro: non toccate i nostri soldi, quella norma è sbagliata e incostituzionale.
Sul decreto sulle liberalizzazioni (articolo 35) che ha introdotto la Tesoreria unica ieri è andato in scena l’ennesimo scontro fra governo ed enti locali, ma anche probabilmente uno degli ultimi atti.
Un incontro interlocutorio fra Vasco Errani, presidente delle Regioni, e il presidente del Consiglio Mario Monti, a Palazzo Chigi, ha aggiunto una nota istituzionale alle incomprensioni. Ma alla fine, in serata, anche con la Lega, si è trovata una soluzione: il governo infatti ha accolto due ordini del giorno in cui si impegna a recepire i rilievi della commissione Bilancio del Senato; e non è escluso che la norma possa essere rivista, già  nei prossimi giorni, attraverso modifiche al decreto fiscale, che sarà  in esame alle Camere. Una conferma in questo senso è arrivata ieri anche dal sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo.
Al di là  del veicolo normativo, si apprende da fonti dell’esecutivo, è stata girata ai partiti più di un’assicurazione: il governo promette in sostanza di rivedere in modo più razionale, a breve termine, il sistema; ne assicurerà  il carattere provvisorio; darà  soprattutto il via libera a un sistema di compensazioni fra crediti e debiti, delle aziende e degli enti locali, cui dovrebbero essere destinati 7,4 miliardi di euro.
Non è poco: in sostanza l’esecutivo non fa marcia indietro sul testo del decreto che il Senato si appresta ad approvare, ma sui principi che introduce lascia intravedere più di un ammorbidimento. E al contempo mette sul piatto della bilancia oltre 7 miliardi di euro che potranno andare — anche se in forma di compensazione con debiti fiscali — direttamente alle imprese, o a quegli enti locali che hanno debiti con le aziende e crediti che possono a loro volta essere compensati.
Non solo: il governo si impegnerà  a corrispondere, sui soldi degli enti locali depositati a Roma, un interesse leggermente superiore a quello oggi riconosciuto dagli istituti di credito che materialmente detengono le risorse finanziare di Comuni, Province e Regioni. La commissione Bilancio aveva chiesto che la norma sulla Tesoreria fosse formulata diversamente per «garantire l’equivalenza tra tassi di interesse attivi maturati presso le Tesorerie locali e quelli maturati presso la Tesoreria statale». Probabilmente si farà  qualcosa di più. 
Resteranno ovviamente, almeno sino a quando le modifiche non saranno formalizzate, sia i contrasti che le parole grosse. Ieri l’Anci, alla vigilia di un Consiglio Nazionale che si terrà  a oggi a Napoli, ha espresso le sue critiche, attraverso il presidente Graziano Delrio, dicendo che «è inaccettabile, oltre che incostituzionale, essere trattati come i bambini monelli che hanno sperperato».
Ma una soluzione politica è ormai in dirittura di arrivo. Ieri sera il governo ha accolto due ordini del giorno in cui si impegna a «ridurre al minimo indispensabile l’efficacia temporale» della disposizione «anticipando a una data antecedente al 31 dicembre del 2014 il termine di scadenza del nuovo regime di tesoreria unica».


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