Un carcere chiamato Honduras

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Gli incendi nei penitenziari di la Ceiba e San Pedro Sula durante la presidenza di Ricardo Maduro (2002-2006), non sono serviti da lezione sull’aberrante gestione della giustizia e delle carceri in Honduras. La storia si è ripetuta. La violenza che soffoca il paese non è casuale. La ristretta élite al potere è complice del sequestro dell’Honduras, con il solito sostegno di paesi interessati al saccheggio delle risorse naturali e umane. Il golpe del 2009 contro il presidente Manuel Zelaya è servito da catalizzatore delle ignominie patite dal popolo honduregno. Sfortunatamente le elezioni del 27 novembre 2009, imposte dall’impero e da alcuni paesi dell’Unione europea sono servite a legittimare i golpisti e il regime che ha ereditato il processo di defenestrazione della democrazia, con alla testa il presidente Porfirio Lobo. Las putrefazione degli organismi di sicurezza dell’est del paese, i furti negli arsenali, il traffico di armi dagli Usa, la militarizzazione dei cartelli della droga, le incontrallabili maras (le bande giovanili figlie del neo-liberismo), sono parte del mix della violenza che schiaccia il popolo honduregno. Se fossero confermati gli indizi sulla partecipazione delle autorità  penitenziarie nel disastro, Comayagua si convertirebbe in un massacro premeditato, decretando la fine del fallimentare sistema giudiziario di quella che attualmente è una repubblica bananera . L’intero paese si ritrova annichilito di fronte a un simile massacro. Mentre l’amministrazione Lobo osserva con il sorriso stampato sulle labbra e, come fosse un libro di George Orwell e del suo «ministero della verità », cerca di nascondere l’Honduras in cui ci troviamo soffocati in materia di diritti umani e di crisi economica. Un paese in cui siamo tutti prigionieri di un gruppetto di energumeni, alcuni specializzati nella repressione e altri nella finzione. Il laboratorio politico che è diventato il cosiddetto «triangolo della morte» del Centramerica (Guatemala, el Salvador e Honduras) è servito all’impero per creare uno scenario di guerra, in cui l’insicurezza è usata dai mezzi di dis-informazione con l’obiettivo di inculcare nella popolazione la presunta necessità  di governi di mano dura per sradicare la violenza. Ne è un esempio lampante la recente elezione come presidente del Guatemala di Oscar Pérez, conosciuto come «il macellaio dell’etnia Ixil» durante la guerra civile del 1960-1996. La perdita della memoria storica da parte del popolo è un indicatore grave dell’incapacità  di risolvere da soli i nostri problemi e della richiesta da parte di alcuni gruppetti di un intervento straniero. La violenza esistente nel nostro paese non è casuale. E’ parte di un copione scritto e diretto da lontano con il macabro obiettivo di incendiare non solo le carceri con dentro i detenuti, ma tutto l’Honduras e prolungarne la schiavitù.

* Garifuna-Organizacià³n fraternal negra hondureà±a


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