VERITà€ E GIUSTIZIA

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Una strage, a Casale Monferrato e nelle città  di tutto il mondo in cui il miliardario svizzero Schmidheiny e il barone belga de Cartier hanno ucciso e intossicato in nome di un profitto che sapevano fondarsi sul sangue di tanta povera gente. Nessuno restituirà  il sorriso a chi ha perso il marito o il figlio, o l’uno e l’altro, in base al principio criminale per cui la salute e la vita di chi lavora sono variabili dipendenti del plusvalore, architrave dell’impresa capitalistica.
Eppure, la sentenza di condanna a 16 anni per disastro doloso e omissione dolosa di misure antinfortunistiche emessa ieri dal tribunale di Torino, ha un grandissimo merito: restituisce a intere comunità  vittime dell’amianto il rispetto che meritano e, insieme, la fiducia se non in un futuro ormai intimamente compromesso, almeno nella giustizia. Questa volta gli assassini non l’hanno fatta franca, uccidevano sapendo di uccidere e per questo sono stati condannati. Le lacrime di commozione di chi per anni ha lottato per avere non quel che aveva perso – e nessuna sentenza potrà  restituirgli – ma verità  e giustizia, mostrano la riappropriazione da parte di migliaia di persone del diritto a vivere ed elaborare il lutto più grande, sapendo però che la loro battaglia civile non è stata inutile. Il Comitato familiari delle vittime dell’amianto ne aveva appena vinta un’altra di battaglia, costringendo il sindaco e l’amministrazione comunale di Casale a tornare sulla sua decisione intollerabile di accettare i soldi del carnefice, mister Eternit, il magnate Schmidheiny, a condizione di rinunciare alla costituzione di parte civile. Uno schiaffo che la comunità  delle vittime non poteva accettare. Quel sindaco di destra, oltre che cinico e disumano, neanche sapeva fare i conti, dato che la giustizia ha deciso un risarcimento al comune superiore a quello «offerto» dal miliardario in cambio dell’uscita di scena.
Chissà  se qualche mascalzone verrà  a spiegarci che sentenze come queste allontanano gli investimenti stranieri in Italia. Chissà  se Schmidheiny interverrà  a qualche congresso di Confindustria per protestare contro la sentenza, come avevano fatto i suoi colleghi della ThyssenKrupp.
Sarebbe bello, al contrario, se la condanna di Torino istillasse almeno un dubbio nella testa di chi, in fabbrica come in Parlamento, a palazzo Chigi come nelle redazioni dei grandi giornali, cavalcando la crisi si batte per cancellare diritti e dignità  di chi lavora. La cui sicurezza, oggi, viene in secon’ordine rispetto al profitto. La sentenza interroga chi in nome della crisi sta cancellando il contratto nazionale, lo Statuto dei lavoratori, le norme sulla sicurezza. Sono quelli per cui i profitti vengono prima dell’ambiente.
Della conclusione del processo di Torino dobbiamo ringraziare una magistratura che ha avuto il coraggio di formulare una sentenza che farà  giurisprudenza in tutto il mondo. Dobbiamo ringraziare per primo il pm Raffaele Guariniello che ha istruito il processo, un uomo giusto, tenace, puntiglioso. Non un eroe, gli eroi non servono. Un magistrato.


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