Abbiate cura di polli, mucche e maiali il loro benessere diventerà  il nostro

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AVETE presente la vecchia fattoria, Zio Tobia e tutti gli animali felici? Difficile riscontrarla nella realtà . La maggior parte della carne e dei derivati animali che mangiamo, purtroppo, sono prodotti da animali allevati in condizioni drammatiche. Non sono il primo, in tema di allevamenti intensivi, a evocare l’immagine di una catena di montaggio dove entrano mucche ed escono bistecche.
OPPURE ci sono galline che producono uova a ritmi e condizioni insostenibili, come tante piccole macchine. Del resto parliamo di “agro-industria”, non di “agricoltura”, e le parole dicono già  tutto.
Pochi di noi hanno accesso a prodotti ottenuti da animali allevati in condizioni di benessere, o almeno è molto difficile averne la certezza. Per tagliare corto si potrebbe diventare vegetariani, come fa un numero crescente di persone in Italia e nel resto del mondo: questo risolverebbe il problema a livello individuale, ma credo che sia comunque necessario prendere posizione contro certi metodi di allevamento che, a prescindere dal vegetarianesimo, continuano ad esistere e che quindi sono un problema della collettività .
Gli animali sono esseri senzienti e dobbiamo loro una vita senza maltrattamenti, dolore e paure, lasciandoli liberi, per quanto possibile, di esprimere i loro comportamenti naturali. Questo è ciò che si definisce “benessere animale” e riguarda l’esistenza degli animali, ma va anche detto che è legato in maniera indissolubile a tutti gli aspetti del cibo: dalla salute alla sostenibilità  ambientale, dalla giustizia sociale alla sicurezza alimentare. Come minimo è quindi un dovere comprenderne l’importanza e il significato.
Già  nel 1999, con il Trattato di Amsterdam, gli animali sono stati definiti esseri senzienti e non più meri prodotti agricoli, ma è col Trattato di Lisbona del 2009 che la UE ha sancito il benessere animale come elemento fondamentale, alla pari della tutela della salute umana. Malgrado questo segnale importante, in troppe situazioni ancora non sono garantite condizioni minime di benessere; milioni di animali conducono una vita in spazi chiusi, dove tutte le loro funzioni sono immolate alla logica della produzione, con poca o nessuna possibilità  di movimento e libertà ; spesso sottoposti a viaggi lunghissimi e a volte in condizioni disperate.
Negli stati membri della UE si vedono luci nell’emanazione delle norme sul benessere animale, ma ombre nella loro applicazione. Qualche settimana fa, la UE ha avviato la procedura d’infrazione nei confronti di 13 paesi, tra cui l’Italia, per non aver adempiuto alla direttiva che dal 1° di Gennaio vieta l’utilizzo delle gabbie per l’allevamento in batteria delle galline ovaiole. La decisione di proibire l’utilizzo di queste gabbie, che negano alle galline qualsiasi forma di espressione del loro comportamento naturale, è stata adottata nel 1999. Gli stati membri della UE hanno avuto tredici anni di tempo per adeguarsi, ma in Italia si stima che oggi 28 milioni di galline ovaiole siano ancora recluse nelle gabbie da batteria.
Dal punto di vista degli allevatori, sia di larga sia di piccola scala, adottare sistemi che facciano del benessere animale una priorità  è un valore aggiunto. La creazione di condizioni di allevamento positive significa uno stato di salute migliore e animali sottoposti a meno stress. Ciò comporta meno patologie, con il minor utilizzo di farmaci che poi potrebbero avere ripercussioni sulla salute umana o sull’ambiente attraverso le deiezioni. Con meno farmaci ci saranno anche costi inferiori di produzione e un innalzamento della qualità  del prodotto in termini assoluti, sia dal punto di vista organolettico, sia nutrizionale. Sarebbe necessario però che lo sforzo da parte degli allevatori fosse sostenuto da politiche che proteggano dalla concorrenza sleale di Paesi terzi, i cui prodotti a basso costo non sono sottoposti agli stessi standard di benessere animale.
Dal punto di vista del consumatore, invece, sta crescendo la sensibilità , ma non è ancora abbastanza. L’aumento di consumo di prodotti animali, infatti, è insostenibile per mantenere un livello di benessere animale accettabile. Questo compromette tutti i progressi che si fanno sul piano dell’informazione e dell’educazione verso consumi consapevoli. Nei paesi ricchi siamo abbondantemente al sovra-consumo di proteine animali, con conseguenti effetti sulla salute, tra i quali l’elevato rischio di obesità , malattie cardiovascolari e cancro. Dovremmo mangiare molta meno carne, concedendo la possibilità  agli allevatori di puntare su una maggiore qualità  (anche tramite il rispetto del benessere animale) e contemporaneamente ai Paesi poveri di migliorare la dieta delle proprie popolazioni. I dati della FAO indicano infatti che in Africa e nei paesi meno ricchi il consumo medio di proteine animali è il 12-17% della quantità  raccomandata.
È molto difficile non essere complici di un sistema così problematico. Se mancano le politiche adatte occorrerebbe informarsi meglio su ciò che si acquista e proteggere con le proprie scelte i produttori più attenti. Esattamente ciò che è successo in alcuni paesi del Nord Europa, tra i quali la Germania, che hanno sfruttato l’entrata in vigore della direttiva sull’allevamento di galline ovaiole come occasione per andare oltre e bandire addirittura l’utilizzo delle gabbie arricchite (quelle previste dall’attuale norma, solo leggermente più ampie delle precedenti). Lo hanno chiesto i consumatori tedeschi, e hanno vinto. Quanto a noi, c’è già  un piccolo “trucco” che possiamo utilizzare: quando compriamo le uova, impariamo a leggere il codice alfanumerico stampigliato su ognuna di esse. La prima cifra indica il tipo di allevamento: zero per le uova da agricoltura biologica, 1 per l’allevamento all’aperto, 2 per quello a terra (ma attenzione, dentro ai capannoni) e 3 per quello in gabbia. Il resto del codice indica la provenienza, per orientarsi a un consumo locale. “IT” sta per Italia e le altre due lettere, come per le sigle delle vecchie targhe, indicano la provincia. Vedrete che il mercato è dotato di una sua “sensibilità “.
Tornando alle normative, nel 2013 toccherà  agli allevatori di suini: scatterà  il divieto dell’utilizzo delle gabbie da gestazione per le scrofe. Sarà  un altro importante banco di prova. Il dialogo, l’informazione e l’educazione al benessere animale sono uno strumento molto potente e la sensibilizzazione dovrebbe iniziare con i bambini, nelle scuole, nelle famiglie e soprattutto a tavola. Mangiamo meno carne, ma mangiamola di qualità  superiore, imparando a riconoscerla. Sembra paradossale, ma oltre a fare bene a noi stessi e all’ambiente, faremo anche qualcosa di utile per gli animali.


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