Alghe, quel petrolio verde che cresce nel mare

by Editore | 15 Marzo 2012 7:48

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La Exxon Mobil ha investito 600 milioni di dollari e ingaggiato un pezzo da novanta della biologia come Craig Venter, il “creatore” della prima cellula con un Dna artificiale. Ad Alicante, in Spagna, è stato realizzato il primo impianto industriale. E il Pentagono ha annunciato che dall’anno prossimo inizierà  ad alimentare i suoi jet con il “petrolio verde” cresciuto nel mare: il biofuel prodotto dalle alghe. 
«Il sistema funziona, anche se la sostenibilità  economica non è ancora stata raggiunta», spiega Angelo Fontana dell’Istituto di chimica biomolecolare del Cnr di Napoli. «Tutte le sperimentazioni dimostrano che, a parità  di superfici utilizzate, le alghe producono quantità  maggiori di biocarburanti rispetto alle piante terrestri». Quando tutti i dettagli tecnici saranno messi a punto, si arriverà  a 100 tonnellate di olio per ettaro. Attualmente la resa è di 15-20 tonnellate, mentre il biofuel estratto dalle palme si aggira attorno alle 5-6 tonnellate e la colza – coltura adatta alle nostre latitudini – arriva alle 2,5. 
Le alghe vengono fatte crescere in grandi vasche esposte alla luce, o in tubi trasparenti affiancati l’uno all’altro come fossero pannelli solari viventi. Il metabolismo di questi minuscoli organismi unicellulari parte da anidride carbonica, energia del sole e un mix di fertilizzanti per arrivare alla produzione di olii del tutto comparabili al petrolio. «Ma dai bioreattori in cui le alghe vengono fatte crescere è possibile estrarre anche prodotti nutritivi come acidi grassi omega 3 e 6, vitamine e carotenoidi», spiega ancora Fontana. Il suo istituto del Cnr, insieme alla Ferrero (interessata alle applicazioni alimentari) e all’azienda napoletana Sepe ha dato vita al progetto SIBAFEQ: un investimento da 8 milioni di euro. 
Un impianto di produzione di biofuel dalle alghe sta sorgendo anche a Pellestrina, isola vicino Venezia. Due bioreattori (i contenitori trasparenti in cui le alghe sono messe in una sorta di coltura idroponica) sono pronti. «Siamo in attesa degli ultimi permessi» spiega Willer Bordon, ex ministro dell’Ambiente, ora lanciato nell’avventura del “petrolio verde”. La Spa di cui è alla guida, la Enalg, ha avviato un impianto industriale ad Alicante un anno fa e nel giro di pochi mesi conta di far partire anche la centrale di Pellestrina. In una prima fase si punta alla produzione di 500 chilowatt, capaci di crescere fino a 50 megawatt e soddisfare le esigenze energetiche del porto di Venezia.
L’impianto di Alicante, il primo al mondo che si propone di raggiungere il pareggio dei bilanci, è una cartina di tornasole dell’efficienza di questa tecnica. Lo stesso Bordon ammette che solo una piccola parte degli introiti arriva dal biofuel: «Un apporto fondamentale ci viene dagli acidi grassi usati per l’alimentazione». Ma ancor più di costi e ricavi, a pesare in maniera decisiva dalla parte delle alghe è l’argomento del riscaldamento climatico. Le alghe infatti si alimentano di anidride carbonica, uno dei più dannosi gas serra. E lo stabilimento di Alicante riceve parte del suo nutrimento direttamente dalle ciminiere del cementificio accanto al quale è stato – non a caso – costruito. Considerando che già  in natura il fitoplancton e le alghe unicellulari consumano oltre metà  delle emissioni di CO2 di un anno (4,6 miliardi di tonnellate di carbonio su 8,7), il “petrolio verde” si candida a diventare la fonte energetica che pulisce i cieli anziché sporcarli.

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