Chi aprirà  il salotto europeo?

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Centocinquant’anni fa, ai tempi della mia bis-bis-bis-nonna, nessun paese europeo era ancora una democrazia. Il suffragio universale è stato introdotto solo verso la fine del diciannovesimo secolo e per le donne ancora dopo. E la Svezia ha impiegato molto tempo ad adottare questi cambiamenti.

Ogni paese si è trovato profondamente cambiato dopo questa riforma, che è stata possibile solo grazie ad anni di pressione esercitata fuori dalla sfera del potere, sulla stampa libera, nei romanzi, sui palcoscenici di teatro e nei sindacati. L’avanzata democratica è stata preceduta da una rivoluzione mediatica che non è stata molto diversa da quella che viviamo oggi.

Le idee avevano cominciato a imporsi. Persone che fino a quel momento non erano mai riuscite a farsi sentire avevano finalmente la possibilità  di essere ascoltate e il diritto di voto. Un grande “salotto virtuale” aveva aperto le sue porte. Negli anni quaranta del diciannovesimo secolo le idee nuove sulla società  del futuro prendevano forma nella nuova sfera pubblica, sui giornali, nella corrispondenza.

Questa grande avventura rappresentata dall’affermazione di questo nuovo spazio di discussione – la stampa libera – può essere paragonata all’odierna ascesa di internet. L’impressione è che tutto quello che ci circonda abbia ormai una dimensione più accessibile.

La democrazia comincia con il dibattito pubblico. Si è dovuto attendere la primavera araba per capire che internet aveva aperto le vie di comunicazione che sono state all’origine di questo processo di cambiamento. Ma che cosa sta succedendo nell’Unione europea? Oggi si sente spesso dire che non ci può essere una moneta unica come l’euro senza un forte potere centrale che ispiri fiducia.

Il governo centrale è stato gradualmente rafforzato attraverso nuove regole. Ma la democrazia, che l’Europa indicava con orgoglio come il suo nucleo centrale, rimane ancora troppo discreta. Dove sono i grandi dibattiti che dovrebbero riunire gli europei?

L’Unione europea è onnipresente sui media, ora dopo ora, vertice dopo vertice, all’interno delle varie rubriche: fallimenti, diffidenza, catastrofi imminenti. La politica europea è caratterizzata prima di tutto dalle aggressioni fra paesi. E noi altri europei ci rendiamo conto di tutto ciò seguendo i nostri telegiornali nazionali e leggendo la stampa nazionale. Viviamo completamente immersi nelle nostre concezioni nazionali. Leggiamo continuamente articoli sui Greci che se la prendono coi tedeschi e viceversa.

Nelle edicole ben fornite, dove gli scaffali sono pieni di giornali stranieri, si cercherà  invano un giornale veramente europeo. Si trovano sono solo riviste di storia, in tedesco o in inglese, dedicate alla grandezza passata delle loro rispettive nazioni. In un numero speciale lo Zeit si interroga sulla “portata dell’influenza di Federico il grande”, mentre Bbc History titola: “Tutto quello che bisogna sapere sull’Impero britannico”.

Molto in comune

Ma dove si parla di quello che l’Europa ha veramente in comune? Di questa storia che nonostante tutto esiste, al di là  della storia delle nazioni individuali? Le compagnie ferroviarie erano nazionali, ma l’esperienza vertiginosa dei primi viaggi in treno era comune, e gli orari ferroviari avvicinavano i paesi, gli uni dopo gli altri.

Nelle capitali europee si sono costruiti musei nazionali all’incirca nello stesso momento e con delle forme quasi identiche. Così come la lotta per il diritto di voto ha superato le frontiere. Tuttavia si classifica la storia per origine etnica e per nazionalità .

Nelle biblioteche la storia dell’arte svedese si trova su uno scaffale, quella danese su un altro, come se fossero radicalmente diverse. Lo stesso vale per la musica, l’economia e la politica, ma in realtà  le idee, il denaro e le melodie non si sono mai fermate alle frontiere.

L’Europa deve affrontare nuove prove. Le comunità  fittizie immaginate dai nazionalismi di ieri si sono risvegliate e hanno cominciato ad affermare che bisogna cacciare via gli stranieri.

Ci si chiede quando verrà  l’affermazione di una grande comunità  europea, di una sfera pubblica europea in cui gli europei cominceranno a chiedere un dialogo pubblico al di là  dei vertici. Chi aprirà  la porta di un nuovo “salotto virtuale” europeo in cui non ci si limiterà  a discutere su quale paese paese vincerà  l’Eurovisione?

Traduzione di Andrea De Ritis


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